lunedì 23 luglio 2012

UNA COSA NON DIVERTENTE CHE SPERO NON MI CAPITI PIU'





Può succederti in qualsiasi momento (grazie al cazzo!!!), che lo voglia o meno (ari grazie al cazzo; sei tu a farlo!!!!), sia il tuo giorno libero (a, ah) o un giorno che sei costretto (lo credi) a spendere le canoniche 8h al proprietario di vite (alias “datore di lavoro”), il quale ti darà un effimero contentino a fine mese da spendere al centro commerciale, così da sedarTi, dando modo al Sistema di mantenersi in-te-gro.







A me - cazzone di prima categoria - è successo in uno dei miei tanti giorni liberi, per l’esattezza il 12/05/12 (data da profezia altisonante, eh?!).






Per essere accademicamente ammorbanti, il fattaccio si è compiuto la sera del giorno prima (il 12/05/12 sono stato testimone dei risvolti).






Stavo gustando un ottimo piatto di cavoletti di Bruxelles e patate al forno, tagliate con amore, passate sotto acqua bollente (serve a de-amidizzarle) con devota professionalità, adagiate nella teglia vestita di carta forno oleata con la cura di cui solo una madre alle prese col neonato è sapiente maestra.






Masticando è successo.


Affilati molari successe che tranciarono di netto l’emisfero destro della lingua, causandomi negli occhi (annebbiati dalla birra) un inaspettato temporale pre uragano.






Le patate esalavano succulente, calde come la ferita dalla quale sgorgava sangue violaceo, infausto nettare dei demoni dell’Ade.






Esposte a fonti di calore, ferite d’ogni genere si tramutano (a loro volta) in fonti blasfeme, perché un escoriazione già di per sé irritata, esposta a temperature irritanti, diventa un piccolo requiem, colonna sonora della zona offesa.






E io masticavo, masticavo, sbiascicavo parlando, parlando, ignorando il terribile dolore appena percepito (lì per lì intuivo intellettualmente l’ipotetica natura del danno, non accusandone gli effetti in tempo reale [quel che si chiama “ferita a sangue caldo”] ).






Nel dopo cena, sigarette rollate con meno amore di quello speso durante la preparazione dei tuberi (causa del mio male), furono avidamente fumate, esponendo la ferita ad esalazioni di catrame e carbonio surriscaldati, portati a temperatura ottimale per friggere… patatine fritte.






Agendo come un comune cittadino, mi sono detto: - Vabbe’, non è successo niente. Vado a dormire e domani sarà tutto passato.






Povero stolto.
Povero, povero stolto.
Stolto.
Stolto e testa di cazzo imbruttita.






TABELLA DI MARCIA DI UN MORIBONDO





N.d.R. : le ore sono accuratamente riportate perché il paziente disperato continuava a guardare il cellulare, come se il tempo avesse poteri taumaturgici.






Ore 04:32


Sveglia con atroce dolore all’interno della bocca. Il dolore viene (in un secondo momento) focalizzato nella parte destra della lingua (ma dai?).


Le ipotesi non possono che essere una; ho fatto metastatizzare una ferita, io, col mio tacito consenso, da solo.




Ore 04:45 (.ca)


Agonizzante mi trascino in salotto, spalmandomi sul divano come una gazzella cui è stata appena fatta saltare metà zampa (destra?) da un cacciatore bianco/cuore nero degno della peggior memoria eastwoodiana.


Mi rannicchio su un lato (sinistro, echeccazzo), prendo un cuscino, lo poggio sulla guancia (?), cerco di addormentarmi inspirando profondamente, mettendo in pratica le più note tecniche di respirazione yoga per isolare la parte ferita, cercando di scordare di possedere un corpo, di essere prigioniero di un corpo tumefatto.






Ore 05:00


Il sonno non arriva.
Quella grande invenzione che è spegnersi per andare a vivere in una realtà onirica purtroppo non funziona.
Non nel mio caso.


Provo a farmi il “trattamento dei punti di percezione”, tecnica essena che permette al praticante di fornire energia a specifici punti dei corpi sottili, così da accelerarne i processi evolutivi (e di guarigione).




Anche la tribù essena con tutto il suo sconfinato sapere tramandato da secoli mi lascia a piedi s’una strada di bestemmie e voglia di piangere.






Ore 05:15


Disperato, tento di mettere in pratica esercizi ed insegnamenti de “Un Corso in Miracoli”.
Devo abbandonarmi, arrendermi, chiedere aiuto.
Qualche minuto dopo sto supplicando.
Una manciata di secondi dopo prendo in considerazione l’idea di trascinarmi a 500m da casa, presso una sede della Croce Rossa.


Desisto: forse non ho ancora imparato abbastanza dal dolore che mi sono causato, conscio che quando ti “capita un inconveniente”, in realtà sei tu stesso ad esserti messo in una situazione pericolosa, con l’Intenzione di fronteggiare paure - che ti porti dietro da tempo, che devi assolutamente trascendere – con lo Scopo di riconnetterti al Tutto.






Ore 05:30
Se prima lo fosse stato solo un pochino, da circa mezz’ora Dio non è più amico mio ufficialmente (sia su FB che nella vita “reale”).




Ore 05: 37
Mi vesto, esco a fare 4000 passi in cerca di conforto, bramoso di pace (stato dell’Essere che mi sono temporaneamente precluso).
Indosso una canottiera bianca; un po’ leggerino per l’arietta maledetta che fa drizzare ogni pelo del corpo.


Compio un giro della piazza principale singhiozzando di singulto in singulto. Ogni volta che deglutisco sento coltelli che s’infilano al centro della bocca, rendendo tutto il corpo uno strofinaccio zuppo di malessere.


Dio, se bestemmiavo, oh, ad alta voce. Sembravo uno dei folli che parlano da soli alla stazione.




VUOTO TEMPORALE (ricordo i miei piedi che camminano indipendenti, bestemmie, lacrime che non riuscivo a piangere).




Ore 07:45
Arrivano gli scuolabus carichi di vita, colmi di vite urlanti, febbricitanti – la scuola sta finendo, gli esami (per alcuni) stanno per cominciare.


Cerco di spostare l’attenzione su qualche giovincella.
Non devo avere un aspetto tanto “fico”, vengo guardato come un lebbroso alla sua ultima molecola d’ossigeno (fatta eccezione per una biondina niente male, occhi di mare, labbra di pesca, lingua fottutamente sana, che mi ha sorriso).


Tutti entrati nell’Istituto, solo in mezzo alla strada, provo a far camminare la memoria sul sentiero dei ricordi per perdermi in elucubrazioni updikeiane sulla giovinezza (e relativa perdita della medesima).


Ma non ci riesco, per tre motivi: a) ho avuto un adolescenza che definire di merda è esponenzialmente riduttivo, b) per cui non ho ricordi felici di quel periodo, c) diostracàn se sto male, mi fa male, non sto bene da nessuna parte, vi prego, aiutatemi, voglio spegnermi senza lasciar traccia, voglio perire, voglio schiattare, voglio morire, che qualche dio babilonese mi faccia la grazia, mannaggia al pantheon TUTTO.




ALTRO VUOTO (ricordo me, alla finestra, che do un pugno al muro, poi vado al bagno, tiro giù i calzoni e, di lato, tento di sputare nella doccia la saliva che non riesco a inghiottire, sputando liquido biancastro e sangue inquietante).






Ore 08:45
Sono sul letto, Elena chiede perché non l’ho svegliata, così potevamo sbolognarci il dolore in due, trovare qualche rimedio (ora ricordo che alle 08:16 ho comprato un ghiacciolo alla coca cola [bleah!] e c’ho messo venti minuti per “mangiarlo”, succhiandolo come l’amaro cazzo della sconfitta), così mi appioppa un simbolo esseno (a casa nostra siamo parecchio esseni, seppur blasfemi e negazionisti) tipo i simboli del reiki e sprofondo in un sonno incosciente fino alle 10:30, quando il dolore e quasi del tutto sparito.






MORALE
…?


Durante le ore di calvario ho scoperto - e compreso - molte sfaccettature dell’Ego (ciò che crediamo di essere, ma che non siamo), come agisce, come ti tenta, come ti seduce e ti conquista.




Ogni istante mi sentivo autorizzato a prendermela con “qualcuno”, ad attribuire la colpa del mio incidente a una qualsiasi entità pur di dare la colpa ad altri (“sono nervoso per colpa di…”, “mi sono pestato la lingua perché questo/quello mi ha fatto distrarre”, “non ero centrato a causa di…” ecc.).


Il piacere “consolatorio” che pensavo potessi sperimentare lamentandomi era molto invitante, ma non ho ceduto, perché era quello che l’Ego voleva farmi credere.




L’Ego si nutre dei nostri “-“ segnati sulla lavagna dell’infelicità, perché è di odio, paura e colpa ch’egli si nutre.


Ma gli ho voltato le spalle.


E ho avuto modo di studiarlo.


E adesso, ogni volta che “sono incazzato per colpa di…”, prima di fare l’elenco delle “brutture del mondo” e dei suoi “responsabili”, ci penso un paio di secondi.


E talvolta desisto.






E subito mi sento meglio.








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