martedì 17 luglio 2012

LO GNAAAARG

UN RACCONTO SCRITTO QUALCHE ANNO FA.
ENJOY IT



MODELLARE LA VITA COL RASOIO
(lo gnaaaaàààrg)





Entrai sospirando di sollievo visto che il locale era dotato di aria condizionata da urlo; in quel caso mi sarei accontentato anche di un patetico ventilatore stile mia nonna anni venti.


Ho sempre sofferto il caldo.


E il fascino delle donne stupide.


Salutai il barbiere, un motociclista pacifista ambientalista ultra politicizzato dal cuore tenero, dedicatosi vita natural durante contro le ingiustizie provinciali.


Mi sedetti ad aspettare, visto che un anziano signore stava godendo delle doti di Mario, pluri diplomato tra Milano e New York – un falciacapelli coi contro coglioni.


Avevo tra le mani “Dago Red” di Fante, dopo tre righe di prefazione iniziai a sfogliare un giornale a caso pescato tra le piramidi giacenti sul tavolo di vetro - e canne di bambù intrecciate da manuale.


Ispirato dalla copertina presi quello con la foto di Berlusconi che, grazie ad un discreto fotomontaggio, teneva in mano una maschera, un ibrido tra la sua faccia e quella "incazzata classica" (icona del teatro greco). Sfogliai  quelle pagine di donne, belle donne, donne patinate, inutili, insignificanti, contenitori virtuali di denaro e del seme dannato di atavici imprenditori privi di cuore - e riempiti di cocaina fino al buco dell'anima nera come l'acqua delle fogne.
Leggevo titolo dopo titolo pensando se certa gente, priva del benché minimo talento, scriveva in un giornale di quel calibro - uno tra i più letti in Italia - , dove cazzo saremmo precipitati culturalmente? , di fatto quel pensiero precipitò subito, troncato a metà da un urlo disumano.


Gnaaaàrg, - fece l'anziano signore, alla vista del rumoroso rasoio elettrico brandito da Mario con routinaria maestria.


Rimasi serrato alla poltrona incredulo; cosa cazzo gli stava prendendo?
Sembrava fosse la sua prima volta dal barbiere.


La prima volta nel mondo moderno tempestato rumorosi, fatiscenti macchinari da guerra estetica.


Posai il giornale, guistai quel grottesco - seppur istruttivo - metacinena della realtà sulla realtà.
Un "true mockumentary".

Sua figlia, bella signora mora dal culo abbozzato installatole da uno scultore pieno di tempo libero gli stava dicendo di stare fermo, non ci sarebbero voluti più di due minuti - il che era vero, l'uomo aveva tanti anni quanti capelli.

Mario incredulo, impegnato a non far trasparire il proprio divertimento, fingeva egregiamente un atteggiamento accondiscendente, paternalistico, nonostante il cliente avrebbe potuto essere il suo bis bis bis nonno.


- Papà, vuoi stare fermo? Guarda che ti butto le sigarette.
- Gnaaàrg, - rispose nuovamente l'atavico, cavernicolo nonnetto.


Mario esplose in una dinamitarda risata (però sempre repressa nel didentro; avesse potuto si sarebbe buttato a terra in lacrime).


Si arrese al pianto liberatorio quando il nonno spese venti dei suoi più vitali secondi per mandare tutti quanti 'affanculo; a quel punto anche la figlia fu costretta a sedersi dalle risate. Sembrava di stare in un posto tipo circo - senza animali maltrattati.

Le bestie eravamo noi, ci trattavamo benissimo, il nostro domatore era involontariamente burlone quanto carnefice.


- Dài che abbiamo finito, ci manca solo una botta di rasoio - , sussurrò Mario rassicurante, come un papà che spiega al figlio quanto siano importanti gli odiati broccoli lasciati a marcire nell'odiato piatto della cena.


Futile dirvi quale onomatopea fu scagliato nella sala al posto una risposta definitiva.


M'alzai, fingendo di andare fuori a fumare.
Ero completamente rosso, il corpo contratto pronto a spezzarsi in una grandissima risata grossa come un colpo di tosse catarrosa preservato per ore e ore, muco accumulato su catarro, dinamite verde pronta a esplodere dai bronchi per sparpagliarsi ovunque.


Feci cliccare il coperchio dello Zippo, un colpo di pollice deciso alla rotellina, la fiamma si accese, la diavoleria americana prese ad ardere.


Ad un tratto il vecchio, contro i miei pronostici
(e quelli del barbiere)
cominciò - quello che doveva essere - un discorso.


Mi affacciai, tentando di scoprire se fosse un falso allarme, una chimera inventata di sana pianta dalla mia mente, bramosa di storie pazzesche da raccontare ai posteri, posteri ai quali non frega un cazzo di niente se non di plastica e sostanze eccitanti.


Invece aveva detto qualcosa in dialetto.
Aveva fame.


Dalle mie parti “mangiare” si dice “magnàre” come d'altronde in molte regioni della penisola bagnata per tre parti dall'immondizia.


Per quanto gli fosse possibile farsi capire aveva fame, lo stava dicendo ora, proprio di fronte a noi, piccolo pubblico del grottesco cabaret.


Cosa c'è papà? Hai fame? Vuoi mangiare?


La risposta fu tremendamente ambigua quanto allarmante; stavolta lo gnaaaàrg fu un misto tra un grugnito animalesco e un “no” pronunciato dall'ubriacone del villagio islamico italiano.


Avete mai visto un islamico ubriacarsi?


Se non lo avete visto sicuramente l'avrete sentito urlare per qualche vicolo fetido di piscio e vomito nel cuore della notte.


La vecchia gloria gnaaaàrreggiante, alla vista del sorpassatissimo rasoio da barbiere da film western prese a shakerarsi, pareva  essersi beccato un Parkinson lì sul posto,  tremava tutto come una bambola gonfiabile elettrica, una vasca idromassaggio senza acqua piena di dolore d'anni passati a fare...
Chissà che vita aveva vissuto, la somma degli eventi che lo avevano portato a trovarsi in quel posto, semi cosciente, ad essere minacciato dalla figlia per farsi tagliare capelli che neanche aveva...


Provai a immaginare il glorioso
(o l'infausto)
passato dell'uomo.


Molto spesso pensiamo, discutiamo, ridiamo degli anziani
(dei "vecchi")
come fossero entità misteriose, spiritose, estranee alla nostra natura.


Non ci ricordiamo mai che una volta erano esattamente come noi adesso.


Forse erano anche meglio.


Li vediamo inermi, incerti, tremanti, bambini pieni di rughe ansie che il più delle volte non si riesce a capire di cos'abbiano bisogno.

Adesso, ripensandoci, ho detto una puttanata; ciò che pensavano di volere dalla vita - a questo punto - gli è già arrivato.
Oppure no.


Anni e anni di storie ordinarie, straordinarie, da raccontare.
Il potere dell'oratoria antica, svanita dote del corso degli anni scanditi da orologi televisivi.

Adesso gnaaaaàrg non mi fece ridere.
Mi sentivo una merda.


Il verso era davvero spassoso, faceva collassare dal ridere - sopratutto il timbro baritonale col quale ce lo scagliava nelle orecchie, manco fosse un anatema).


Eppure ci eravamo dimenticati che quella cosa gracchiante sulla sedia, seppur avesse una versione ultradecadente del nostro aspetto, era come noi, ne più ne meno.


Era la proiezione di ciò che saremmo stati di lì a qualche anno.


Ci avrebbe fatto piacere lo stesso trattamento?


Combatti una guerra o combatti una vita per arrivare a fine mese.
Vincitore o perdente riesci ad uscirne con le tue gambe e ora il ringraziamento che ti viene dato è una serie di persone che ti prendono per il culo, ti trattano con simpatia come si farebbe con un neonato?


Prima di allora già lo sospettavo, dopo quel ragionamento ebbi le prove tangibili per poter dire che la vita non ne valeva la pena.


Non ne vale la pena.


Era per quello che gli umani continuavano a inventarsi dèi, miti ed icone: era il loro modo per dare significato ad un periodo medio breve privo di qualsiasi significato.


Viviamo perché esistiamo.


Andiamo avanti così, tanto per.


L'inferno e il paradiso se li erano inventati per dissuaderci da fare l'unica cosa sensata a questo mondo.


Farla finita subito; insomma, se sai come andrà a finire, che motivo c'è perseverare nel dolore?


Vi sarà capitato di non andare al cinema a vedere un film perché qualcuno vi ha raccontato il finale, no?


Come la mettiamo con QUESTO film?


Mi alzai, andai a stringere la mano all'uomo che prima mi aveva fatto ridere, poi mi aveva donato una chiara quanto disarmante visione delle cose, salutai svogliatamente Mario e la figlia della mia decrepita ispirazione e tornai a casa pensando a quel verso terribile che, nascosto in sé, portava tutti i significati esistenti, i significati che tentavano di spiegare i filosofi, gli scienziati, i maestri di vita, i santoni.


Fu quella la prima volta che pensai al suicidio.


2 commenti:

alessandro ha detto...

Ciao mito, un piacere trovarti in forma!

alessandro ha detto...

...ah, ti volevo lasciare una lista delle case editrici a cui ho mandato il mio lavoro ma non ho una tua mail. La mia è questa:
metrovampe@gmail.com

Ciao!