mercoledì 28 novembre 2012

COMIZI D'AMORE

In biblioteca ho trovato “Comizi d’amore”, un film documentario del 64 girato da Pasolini (con la collaborazione di Alberto Moravia e Oriana Fallacci).


Lo conoscevo, ne avevo visti degli spezzoni in vari documentari, ma non sapevo che qualcuno si fosse preso la briga di editarlo in dvd e divulgarlo… perché non mi sono interessato abbastanza.

Se davvero mi fosse interessato, avrei cercato.

Semplice, no?

Comunque, appena l’ho visto – per usare un registro linguistico aulico/solenne – mi ha piàto bbè’ di bbrutto.

Appena finita la visione, mi sono reso conto che si è rivelato una grande lezione di vita, tanto che oggi a pranzo lo riguarderò. E poi lo riguarderò.

Per essere più precisi, lo “rivivrò”.

Mi ero fatto un idea dell’italiano medio degli anni 50/60 molto particolare, per non dire terribile, semplicistica (e per niente particolare).

Pensavo ai vecchi compaesani come una massa anodina di zotici caproni contadini ignoranti addormentati - eccezion’ fatta per i grandi come i vari Pasolini, Moravia, Montanelli, Svevo ecc.

Vi spiego l’iter; come c’ero arrivato a questa brillante conclusione antropologica?

(capito? io, il grande luminare di ‘sto cazzo giudicavo per sentito dire; mi faccio tenerezza da solo).

Ho visto come siamo adesso e ho sottratto; cioè, ora che – teoricamente – l’alfabetizzazione si è estesa (stupidamente ho pensato), per quanto rincoglioniti dalla tv e dai media, conosciamo un sacco di cose in più che prima erano ignote e, per quanto siamo un popolo di deficienti, siamo “evoluti”.

Cristooddio. Ho i brividi a confrontarmi col vecchio me stesso, colui il quale dall’alto di un immaginaria cattedra saccente, tutto sapeva e conosceva, nelle tasche appesantito dall’ingombro della “verità”.

Povero, povero me. Porèllo!

Al di là che c’è “sapere” e “sapere” e al di là di là di là dell’utilizzo che se ne fa (molti figuri dotati di cultura enciclopedica possiedono un senso di umanità pressoché equivalente a 0, il che significa che tutta quella fuffa intellettuale non gli è servita assolutamente a niente) - io scambiavo il “sapere” con la consapevolezza.

Il sapere è solo una delle strade verso la consapevolezza, non di più.

Detto questo. Gli italiani di quel periodo, sessualmente parlando, ne sapevano tanto quanto ne sappiamo noi che viviamo nell’era del web, di wikipedia, del sapere easy to drink.

Sentire certe risposte mi ha stupito, divertito e quasi commosso. La spontaneità, la chiarezza di certi soggetti è stata disarmante.

Vengono intervistati tutti: dai bambini del popolo, passando per la fascia “media”, fino agli studenti universitari, da nord a profondo sud.

Ciò che mi è più servito è capire da dove vengono certi valori e convinzioni installate nelle nostre menti, cioè il bagaglio che ci portiamo appresso dall’inconscio collettivo.

Ad esempio: il concetto di “superiorità maschile” (“L’uomo è superiore alla donna [brrrrrrrr]) di cui siamo ancora convinti, e che si sta ribaltando – come se servisse a qualcosa, stabilire che esista un sesso “superiore” - era cantato con forza solenne da certe donne intervistate.

Quando Pasolini domandava “perché?” la risposta era (in sintesi): E’ COSI’ PERCHE’ E’ COSI’.

Quelle persone non si facevano domande: nascevano, venivano educate dai genitori, lavoravano e rigavano dritto come gli era stato insegnato, perché era così che doveva andare.

E oggi?

Quanti di noi si fanno domande sulle cose che vedono?

Lo “stato” italiano. Cosa significa davvero “stato”? Perché tutti i territori sono stati accorpati in paesi, che poi costituirono regioni, che poi furono unite nel sangue in un unico stato da Garibaldi”?

Al di là delle cagate che ci insegnavano a ripetere a pappagallo a scuola; in quanti se lo chiedono?

Denaro: perché esiste il denaro? Chi l’ha inventato? Perché il denaro esiste NON per servire l’umanità, bensì per essere suo avido padrone? Perché ancora oggi ci sono popoli che fanno la fame (noi ci stiamo spingendo in quella direzione) quando oggi, con l’automazione del lavoro, potremmo tutti vivere senza lavorare e goderci la vita mandando affanculo pure il concetto di denaro?

Cosa significa la parola “matrimonio”? Perché ci si sposa? Perché si fanno figli?

Religione: perché dio, che è amore, ci punisce continuamente? Perché una mente superiore scrisse le sue volontà in un libro dove si parla la maggior parte del tempo di persone che agivano “per conto suo”? Perché, se Egli risiede nel nostro cuore noi, per contattarlo, dobbiamo leggere un libro vecchio di centinaia di anni che è tutto meno che chiaro? Perché ci ha dato 10 leggi - e poi l’uomo ne ha scritte altri milioni di altre?

Ecc.

Al di là delle risposte che “darete”, vivete in Italia, vi sposerete, farete figli, lavorerete per avere indietro del denaro perché è sempre stato così.

Cosa propongo?

Iniziate a farvi domande; arriverà un punto in cui ne avrete miliardi.

O non ne avrete più. Perché sarete in pace (non intendo “morti”).

Farsi domande porta tutto tranne che pace ma… è una strada come un'altra…

Per la Consapevolezza.

La consapevolezza non comporta déi da pregare, altari sui quali inginocchiarsi (scienza compresa), tantomeno grandi misteri che devono essere svelati.

La consapevolezza porta pace. E la felicità è conseguenza della pace. Non potete essere “felici” se non siete in pace. Questa l’ho scoperta dopo tante tranvate sui denti.

Ma ognuno ha il suo percorso.

Fate esperienza.

Buona settimana a tutti.



lunedì 19 novembre 2012

EYE IN THE EYE




Giorni fa, mi pare giovedì, nell’occhio mi è entrato un pezzettino di ramo, caduto da un albero, grande approssimativamente come la metà di ¼ di chicco di riso. Si è poggiato in un punto che non compromette la vista.

È soltanto fastidioso.

La mia attenzione vaga. Ogni tanto ritorna lì, a quel fastidio.

Ho un problema: sono incapace di toglierlo.

A meno che un esperto applichi un divaricatore alla palpebra costringendomi a spalancarlo, tenere l’occhio aperto risulta impossibile. Appena vedo un dito - sia anche il mio - avvicinarsi minaccioso, serro l’occhio d’istinto.

Mi ricordo la sera di Halloween di 11 anni fa. Ti ricordì, Sa’?.

Ci dovevamo mascherare per andare a una festicciola (che in realtà non c’era) in un horror pub, e vagammo attorniati dal saggio freddo delle montagne, strafatti di un discreto hashish impossibile da apprezzare perché le temperature corporee oscillavano tra 0 e 3°C.

E tu provasti a truccarmi gli occhi, invano.

Niente. La matita s’avvicinava, l’occhio tirava giù le serrande.

Fui un Corvo parzialmente truccato. Fondotinta sì, matita no.

Non riesco a capire perché tutto questo terrore verso una parte del mio corpo, manco fossi un cristiano castrato dell’800 incapace anche solo di toccarsi l’uccello, figurati masturbarsi. Deve essere stata la scena finale di “Guinea Pigs: The Devil Experiment” a farmi litigare con suddetto organo.

E quello se ne sta lì, appollaiato come una piccola zecca assetata.

A dire la verità, appena resomi conto che qualcosa s’era intrufolato nell’organismo, pensai fosse l’ala di qualche insetto. Ho pensato “prima o dopo andrà via da sola. Il corpo rigetta ciò che gli è estraneo, essendo una macchina perfetta, capace di auto tutelarsi”.

Nel pomeriggio, mentre guardavo estasiato “Il Volto” di Bergman, ho fatto esercizi oculari finalizzati a lacrimare, sperando di debellare il flagello bashtardo. Fissavo scomodi punti del campo visivo. Ho provato a fissare la luce di una candela. Niente. Ho visualizzato ignote porzioni di campo visivo, brandelli spettrografici e anfratti cromatici fantastici.

Lacrimando, senza risultato.

Le paranoie sono arrivate puntuali, come un treno per l’ade. Ho visualizzato fotogrammi di Cronenber tratti dai primi film, quelli sulla “nuova carne” e la necrosi dell’organismo. Mi sono immaginato l’ala d’insetto andare in putrefazione, riempirsi di vermi che mi divoravano pian piano l’occhio fino a che un infezione craniale mi costringeva ad andare all’ospedale, dove l’avrebbero rimosso.

Ma poi mi sono convinto che era solo un rametto, ed è così, perché macchie bianche con la coda non ci sono.

Eppure rimane lì, a fissarmi gli occhi (letteralmente).

Ci ho riprovato dieci minuti fa.

L’occhio si chiude.

Quando inizierò a impazzire, vedrò di andare al pronto soccorso.

O magari se ne sarà andato via da solo.

Spero.

Volevo scrivere un post che, forse, scriverò presto, incentrato sull’atrocità qualunquistica irreale di cui la recitazione (e i dialoghi) nei disaster movie - come “The day after Tomorrow” - è totalmente schiava/ serva succube.

Se un asteroide grande come un appartamento ti sta arrivando addosso, col cazzo che “esclami”: - Mio dio, è impressionante, dobbiamo fuggire - . Come minimo ti viene una paralisi, o al limite bestemmi Cristo, ti caghi addosso e inizi a strillare nel tuo dialetto.

Pazzesco.

Ok.

Ci sentiamo presto.

Pregate per me.

Abbiate un occhio di riguardo.

lunedì 12 novembre 2012

QUALCOSA MI HA DATO FASTIDIO. NON SO DI PRECISO COSA. MA MI HA DATO FASTIDIO: RECENSIONI DELLE MIE ULTIME CINEVISIONI

Settimana caratterizzata da intense visioni è stata questa qua passata la settimana scorsa di lunedì da lunedi a ieri domenica che è finita la settimana.



Un po’ di passato di roba passata nel vecchio dei film di tanti anni fa e pure tanto di qualcosetta di recente e pure dell’anno scorso che è recente più di 2 o 5 anni fa anche se sono recenti pure quelli.



Grandi visioni sono state.

Quelle là.



Cercherò, in breve più brevemente possibilmente di raccontare cosa m’hanno lasciato i film visti da lunedì scorso (quello passato) a ieri (che però è anche oggi perché ho finito di vedere l’ultimo film pellicola alle 01:30 che era già stamattina), nella speranza di poter essere piccola fiamma - o fuoco fatuo, se preferite - nel vostro attuale mondo cinematografico, sia totalmente illuminato o buio come evanescenti notti di Nagasaki durante la seconda metà degli anni ’40.



Niente trame, niente recensioni da Mymovies; solo sensazioni



LISTA DEI FILM VISTI:



AVATAR

DEBITO DI SANGUE

SOUL FOOD

KILLER JOE

CHE FINE HA FATTO BABY JANE?

HALLOWEEN III

THIS MUST BE THE PLACE





AVATAR:

RICETTA PER SFORNARE L’ENNESIMO “NUOVO” PANINO MC DONALD’S E SPACCIARLO PER ALTA NOVELLE CUISINE ALLA PORTATA DI TUTTI I PALATI

Prendete “Balla coi lupi”, “Un uomo chiamato cavallo”, “L’ultimo Samurai”, e altre pellicole simili. Gettatele in un calderone, fatele bollire per due ore e tre quarti aggiungendovi, di tanto in tanto, spezie transgeniche senza mischiarle troppo, affinché i palati più attenti sappiano distinguerle tutte. Inoltre, aggiungete con frequente frequenza (ogni 3 secondi) 200 g. di denaro cartaceo (possibilmente carta filigrana per assegni).

Infine aggiungete un pizzico di “Matrix”. Aspettate che si freddi e servite in salsa blu.

Avatar non è un film brutto; è una storia vista e rivista.

Tutta quell’innovazione di cui si parlò quando uscì fu fuffa per pubblicizzarlo ulteriormente.

Fare un remake cumulativo di pellicole come quelle menzionate aggiungendovi dei puffi giganti ambientalisti vegetariani con la faccia da gatto birichino e feroce non rende innovativo un polpettone ibrido di cult movie del passato.

Dal punto di vista emotivo, ovvio che mi ha toccato; se stacchi il cervello, ti mescoli al film, normale che ti tocca (sappiate che succede anche con certe astute pubblicità).

E a fine visione una bella sorpresa: invece di stare in pace mi sentivo aggressivo come un serpente avvelenato.

Sì, perché Avatar si sviluppa sulla base del QUESTI BLU SONO I BUONI, I SOLDATI SONO I CATTIVI. Presto ci si rende conto che è un continuo ribadire chi è chi.


CONCLUSIONE: film carino, godibile (se non vi mettete a pensare che coi soldi che hanno speso per realizzarlo [più gli incassi] avrebbero estinto il debito pubblico del pianeta terra (non fosse che il debito pubblico è fatto in modo che sia matematicamente impossibile sanarlo [il debito pubblico lo si paga con denaro che… ci viene prestato dal debitore; possibile estinguerlo? Sì, ma solo su Canale5, nelle notizie del TG].


DEBITO DI SANGUE (titolo originale Blood Work).


Clint Eastwood è uno dei miei registi preferiti. Semplice, toccante, immediato, sa benissimo come e dove posizionare gli elementi di cui dispone nella sceneggiatura e nell’inquadratura della MDP.

Da Millon Dollar Baby (non mi è piaciuto; dovrei rivederlo), fino a “Gran Torino” (a mio avviso suo capolavoro assoluto) ci ha regalato film impeccabili, godibili, pieni di spunti riflessivi…


… a parte qualche macchia di diarrea sulle mutande del suo curriculum, come nel caso di questo “Debito di Mestruo”.

Un ora e tre quarti buttate nel cesso: chissà se il buono scoprirà chi è il cattivo e se, eventualmente, lo punirà?

Anche se non lo avete visto, sapete già come finisce…

Esatto, proprio così.


Se devo salvare qualcosa del film: finalmente ride.

Sì.

Clint ci mette tutta l’energia di cui è ancora capace. Inspira ed espira, contrae i muscoli come stesse facendo una cagata fotonica dopo una scorpacciata di limoni e banane, e ride. Penso che il maestro si stesse rendendo conto dell’abominio che stava girando/interpretando, che abbia ceduto a un ragionevole comportamento umano - per chi non lo sapesse, Clint Eastwood è soprattutto famoso perché è sempre stato disponibile in sole 2 versioni: “Con” e “Senza” sigaro; qui niente sigari.


CONCLUSIONE: vedete la scena in cui sorride poi dedicatevi ad altro.



SOUL FOOD - I SAPORI DELL’ANIMA (de tu’ sorella).


Il regista vorrebbe (nella sua fantasia) avrebbe voluto dirigere un lavoro dalle alte pretese sociologico-sentimentali ma è finito col dipingere un quadretto di neri che giocano a fare i negri che, senza rendersene conto, si sono identificati con stereotipo che il sistema ha imposto alla loro casta - i “neri” che conosco io sono persone vere, autentiche. Non sono falsi (e fottutamente “bianchi”) come questi qua; qui non esiste una donna coi capelli ricci; SONO DEI BIANCHI VENUTI MALE).

Storia di storie di una famiglia - tra lavoro, chiavate, tradimenti, rancori e violenza - che si rivela “solida e unita” solo nell’atto domenicale di sedersi a tavola e magnnnnare come porci le peggio schifezze.

Tutti litigano, tutti danno la colpa all’altro, non ride mai nessuno tranne nel finale, quando tutto sembrava perduto e invece… ARRIVANO I SOLDI.


Ma-gni-fi-co!!!

Nonostante ciò mi è piaciuto (narrazione e musiche ti fanno entrare dentro), però penso sia triste, vedersi due ore di borghesia afroamericana che si rivela una casta di esseri rincoglioniti e addormentati che vivono col solo unico scopo di apparire migliori di quel che credono di essere.

I loro antenati si ribellarono alla schiavitù… mentre questi si sono volontariamente ricoperti di catene, arrivando a vantarsene.


Film come questo sono belle passate di cera e argento per lucidare quelle catene.

Fate voi… preferisco i film di Singleton (e anche certa roba di Spike Lee).



KILLER JOE (di William Friedkin).

Che dire? Perfetto.

Sceneggiatura, Regia, interpretazioni di TUTTI gli attori.

Come Eastwood, anche William sa con estrema esattezza ciò che sta succedendo nella mente dei personaggi, nelle oscure location degradate/degradanti (per lo spettatore che ci sguazza come un tortellino giù per lo scarico fognario), e lo filma con maestria ed eleganza persino durante le scene ruvide e violente - non sono così tante come millantano certe recensioni; è che sono una mazzzzzata).

Memorabile interpretazione di Mattew McCoughney (si scriverà così?) che, per una volta, invece di fare il seduttore bellone, confezionato su misura per le solite commedie (finto) rosa a cui ci ha abituato, ci sbatte sul grugno un killer (Joe) che rimane impresso.


La scena del pompino alla coscia di pollo - e gli ultimi 10 minuti – lasciano ferita e cicatrice.

William Friedkin è sempre stato un provocatore, pensate a “L’esorcista”: mica voleva fare un semplice horror-shock tratto da un best seller di moda per guadagnare a palate; voleva ridare indietro all’America la sua stessa merda, affinché se la rimangiasse, e finisse il pasto con “Grazie, Signore grazie”.

E vi riuscì.

Come c’è nuovamente riuscito con Killer Joe.


CONCLUSIONE: Se vi piacciono i film perfetti (e ricevere coltellate negli occhi) cos’aspettate a vederlo?



CHE FINE HA FATTO BABY JANE?

Un classico.
Un classico non solo perché lo dicono i signori critici cinematografici specializzati di critica cinematografica di ‘sto cazzo.

“Classico” perché rimarrà sempre attuale - almeno fino a quando non diventeremo robot a tutti gli effetti.


A differenza di Avatar, sebbene la drammaticità delle vicende alzi il tiro minuto dopo minuto, qui non sappiamo con esattezza chi sia la vittima, chi il carnefice. Lo scopriremo solo nel sorprendente finale - grazie al quale, in futuro, durante la seconda, terza, quarta, centesima visione, avremo una chiave di lettura totalmente diversa di tutta l’opera.

Le interpretazioni delle protagoniste non sono interpretazioni.

Le due attrici diventarono i loro personaggi – (forse) ciò che interpretarono era molto vicino al loro modo di essere fuori dal set.

Grottesco, a tratti malsano e inquietantemente divertente. Anche qui scene antologiche (la Davis che prende a calci la sorella paralitica spalmata sul pavimento agonizzante e - sempre Bett Davis - canta mezza stonata muovendosi come la parodia di sé stessa, scimmiottando le coreografie di quand’era bambina prodigio).


CONCLUSIONE: imprescindibile per chi ama le opere intense.
Pappa veri gùd.
Pappabbuona tandobbuona.



HALLOWEEN III – IL SIGNORE DELLA MORTE (che in realtà s’intitola “Season of the Witch”, come l’omonimo film di George Romero, e che un cazzo ha a che fare con la saga di Carpenter - sebbene John appaia in vesti di co-produttore e co-musicatore).

Quando lo vidi la prima volta avevo 12 anni.

M’aspettavo che l’adorato Michael Myers, morto esploso carbonizzato nel II, resuscitasse ancora una volta per fare la solita carneficina.


Affittai la vhs, spinsi play.


Aspettai.

Attesi il mitico 5\4 dello score (TU-TA-TA-TU-TA-TA-TU-TA-TA-TUU) e non arrivava, come non arrivava Michael.

Ma dove cazzo siete finiti?, mi chiedevo mentre ingurgitavo hamburger e patatine fritte.

Il mio assassino mascherato preferito non arrivava, i miei testicoli (e il mio fegato) si gonfiavano di malattia.

Poi il film finì.

Rimasi deluso.



ERRATA CORRIGE: Halloween III, quello vero, quello che mi aspettavo di vedere a 12 anni, all’epoca era (ed è) inedito in Italia.

Si trova in rete sottotitolato; carino, non un granché.


Quest’altro HALLOWEEN, che si svolge ad halloween, ma che HALLOWEEN non è, scritto e diretto da Tommy Lee Wallace, si rivela un ottimo prodotto di serie B.

Molte scene ricordano “Fog” del maestro Carpenter – per la musica, per come viene posizionata la MDP nelle scene d’azione.


Il famigerato HALLOWEEN originale viene citato un paio di volte (si vedono immagini alla tv, se ne sente un brandello di colonna sonora[però niente tu ta ta tu ta ta]).


A distanza di anni, HALLOWEEN III risulta ancora valido e godibilissimo.

Lo definirei un horror-fantascientifico.

“Fantascientifico” perché a un certo punto spuntano i robot.

Per tematica (robot compresi) lo considero la dimostrazione che quelle che nel passato venivano definite “apocalittiche profezie” non sono altro che il presente che stiamo vivendo.


Come dicevo spesso: “Fantascienza” è quella parte di scienza (spesso esistente, e nascosta alle masse) che le persone comuni- in un dato periodo storico – percepiscono come “Troppo avanzate” rispetto al livello tecnologico corrente.


Ancora non sono pronte per accettare certe scoperte, concetti, o visioni che destabilizzano lo status quo, di conseguenza giudicano il tutto come esagerato, improponibile. Affibbiano l’aggettivo “FANTA”, cioè “assurdo”, a concetti fuori dal proprio range di comprensione…

Chi decide “cosa” sia “impossibile”?



CONCLUSIONE: per passare una bella serata senza pretese (…o forse sì) in compagnia di un cinema che, ahimè, non esiste più.

Un film di serie B che, paragonato alla stragrande maggioranza dei “film” di oggi, risulta un serie A+.



THIS MUST BE THE PLACE (per fortuna non si sono inventati il classico titolo [o sottotitolo] maccheronico per non spaventare lo spettatore italiano medio, come spesso succede).



Una perla unica.

Un caso di cinema italiano come non si è mai visto (perlomeno io).

Il film italiano meno italiano della storia del cinema commerciale.

C’è tutto: risate, amarezza, riflessione, ritmo, trovate visive.

Recitano persino i paesaggi.


Non so checcazzo abbia mangiato Sorrentino prima di mettersi a lavorare.

Se con “Il divo” m’aveva fatto godere, stavolta m’ha fatto eiaculare l’orgasmo.


Sean Penn si è rivelato un dio, interpretando l’antitesi/contrario-capovolta (e degenerata) dei personaggi a cui ha dato vita durante la sua carriera; cioè il duro tenebroso (eccezion’ fatta per gli episodi drama drammatico drammatici [parlo delle interpretazioni, non delle regie; Into the wild è notevole]).


Non aggiungo altro.


CONCLUSIONE: Folgorante.



Penso di aver terminato.

Vi chiedo umilmente perdono per la settimana scorsa che non ho pubblicato (ccccazzo di tragedia, eh?!).


Spero di avervi consigliato qualcosa che vi faccia godere.

Ci vediamo lunedì.