domenica 26 dicembre 2010

STORIA DI NATALE 2010: FINALMENTE. COPIA E INCOLLA SU DOCUMENTO PERCHE' QUI' E' ILLEGGIBILE E... AUGURI UN CAZZO!!!


L'APPROPRIATO RITRATTO DELL'INCONSCIO DI VARIE GENERAZIONI.
QUESTA E' PER NOI






TUTTA LA VERITA', I FATTI SONO REALMENTE ANDATI COSI'.
CI HANNO ILLUSO COL SORRISO, POI DATO UNA MASSICCIA DOSE DI UCCELLO NEL CULO. E NE ASPETTIAMO ALTRO. CHE MAIALONI INSAZIABILI!











NATALE 2010: LA VENDETTA DEI CADUCHI







Rod evolvette in un istante, come perforato dal folgorante mutamento, trascinandosi lo spessore dei vecchi dèi. Guardò dietro sé, constatando gli esiti dell'estinzione. Fumò una Pall Mall dedicando anelli di fumo a ognuno dei Padri. L'entrata in scena dell'uomo dal mantello viola elettrico lo paralizzò. “Cosa vuoi da me?”. Un cavo dell'alta tensione si spezzò in due, piovve una tempesta di schegge luminose sopra le pozzanghere di acqua grigia incastrata nelle aperture createsi sul manto stradale, rischiarando il crepuscolo di sole a mezzanotte. “È il momento”. Una serpe attraversò la distanza tra Rod e l'uomo del destino colmandola di certezza. “Vibro di stelle”, disse Rod facendo spallucce, scendendo dal bidone della raccolta differenziata dov'era seduto dall'inizio della fine.
“L'energia delle stelle ti rende invincibile. Ti desidera, il Firmamento?”.
“Solo metà della scelta è mia. Baderò al Volere. Erano pur sempre i nostri Padri”.
“Staremo a vedere. Io e te. Mi servi”.
Scostò il cappello di feltro, uno strattone sprezzante, come fosse uno degli altri scomparsi. Rod ammirava le scintille scendere dal cielo. “Sognavo un mondo diverso. Ci credevo”. L'uomo del destino sedé sul bidone affianco.
“Sopravvissuto. Sei sopravvissuto. Merito Loro?”.
“So come ci si ripara dalle tempeste”.
“Mi stai ingannando. Il tuo petto sta vibrando”.
“È l'ansia dell'Ultimo”.
“Non puoi saperlo”.
“È già successo ad altri. Vivono in me”.
Il mantello risplendé, ora che la corrente aveva cessato di essere uno spettacolo elettrizzante. La città era una macchia scura, confusa col cielo depredato dalle stelle. Un'esplosione di luce indefinita tirò il sipario sulla nebbia, riversandosi nel corpo di Rod. “Come pensavo. Vivi per Loro. Esisti grazie a loro”. L'asimmetria della sua testa s'intonava al buio predominante in ogni direzione di ogni dove.
Era reale.
Stavolta nessuno l'avrebbe ascoltata.
Il cielo s'aprì all'energia di una forza misteriosa. Bagliori nel buio. Per un tratto tutto parve tornare come prima.
Il portellone si aprì, l'indistinta figura scese sulla terraferma.
“Astronave Madre. Ci servi”.
Non c'era più l'uomo del destino. Poggiati dov'era seduto erano rimasti cappello e mantello.
“Sali a bordo. Astronave madre”.
“Io?”.
“Salire a bordo astronave Madre”.
“E no, su. Dai”.
“ASTRONAVE MADRE”.
“Essù, dai. Io? Perché proprio io?!”.
Sono diventato un professionista nel salto in lungo. Quando ancora ero un principiante senza speranza cadevo dal letto, bestemmiavo il primo dio dell'elenco, andavo a fumare una sigaretta, mettevo il ghiaccio sulla ferita o ematoma e fine dell'incazzatura. Senza esagerare, oggi posso dire di essere giunto a livelli da competizione agonistica interregionale. Le dita mi odorano di spezia dolciastra. Non ricordo d'aver consumato prodotti contenenti cinnamomo. La puzza emessa dalla cannella mi disgusta quanto l'odore degli sternuti altrui (a ognuno piace il suo). La cannella odora di catarro inzuppato con la saliva contaminata da Rhinovirus. Per praticità lo chiamiamo “raffreddore”; un tonfo giù in strada. Bestemmiano, al posto mio. L'auto diagnosi può aspettare, non ci credo ai germi di Pasteur. Faccio spuntare la testa dalla finestra intimorito, non capendo bene perché gli occhi percepiscano l'ambiente come un'ampolla di vetro innevata senza uscite. Cazzo, ha nevicato. Neve a natale. E io volevo smettere di imbottirmi di medicinali per il cervello.
Quattro anni fa il dottore mi disse, in sostanza, che dovevo curarmi il cervello. Ubbidii per convenienza. L'apatico abbandono donato dagli psicofarmaci è un bunker antiatomico brevettato, certificato. Non devi fare attenzione a cosa dire, le parole sbagliate semplicemente non compaiono. Farcito di medicine anti psicosi come un panino dell'Autogrill non hai bisogno di scegliere con cura argomentazioni, timbri vocali, selezioni per interlocutore ecc.
Sì.
No.
Sì e no.
Non puoi errare sui sentieri di chi ha errato arando un campo d'infanzia misofelice, piantato di “Vieni ad aiutarmi! Aiuto! Perché non fai niente, esci, mi sono rotta una gamba”.
Comportarsi da eroe non è indicato sul foglietto illustrativo. Miseriaccia birichina di una peripatetica passeggiatrice infestata puttana spanata persino nelle orecchie, non ho letto gli effetti collaterali. Superman, Spiderman, Fantaman, Sant'Antonio: paranoidi sotto severa cura farmacologica? Intravedo un buco interdimensionale, s'allarga a perdita d'occhio, luce, inizio a muovere un piede, poi l'altro, camminarle incontro, è la volta buona, abbandonerò questa dimensione di merda. Sorrido, porgo la mano. “Aiutami ad alzarmi”. Non capisco, forse sono davvero uno stupido. “Ti prego. Mi fa tanto male la gamba”. Perché proprio io?! “Aiuto, aiuto, aiutatemi”. Digrigno i denti, la musica di uno vibrafono suonato con da sega circolare. Un gruppo di persone si è fermato. Non intervengono. Aspettano il popcorn? Mi giro verso loro, cercando di essere teatrale quanto basta a smuovere le voyeuristiche coscienze di quattro gas anali paesani. “Perché nessuno aiuta la signora, poverina?!”. Due se ne vanno, atri cinque rimangono immobili.
“Aiutami. Perché non mi aiuti”.
“Le ho porso la mano”.
“Aiutami, non sento più le gambe”.
“Cazzo vuole? Ha rifiutato la mia caritatevole mano”.
“Gioventù, ai miei tempi rispettavamo gli anziani”.
“Mancavate d'originalità. Ora è meglio andarsi a ubriacare”.
“Non vuoi aiutarmi”.
“Vede quella gente là, sull'altro lato della strada? Stanno facendo la fila per salvarle la vita”.
“Mi spiavi dalla finestra. Sei sceso. Sei qui, continui a guardarmi ma non vuoi aiutarmi”.
Frugo in tasca, tasto il tabacco, cartine, filtri, chiavi del portone, chiavi della macchina, chiavi dell'inferno, tic tac, ancora niente, un fogliettino (lista della spesa del 14/12), un laccetto per capelli trovato a terra dopo aver vomitato sabato sera giù al Velvet con Tommaso...
TOMMASO, CAZZO, È LA VIGILIA DI NATALE!
Dolorosamente volto il capo, c'è lo spigolo del comodino a distanza ravvicinatissima, un incontro del quinto tipo tra uomo e legno di nulla fattura. Non distinguo più i sogni liberi dall'attività onirica gestita dallo stato e dalla polizia (servono la bandiera, il proprietario, coalizzati contro il cittadino ritardato che li stipendia aspettandosi giustizia e protezione), spacciata per vita vera, poi sentenziano, “Sei matto, questa è la realtà, non è un sogno, le illusioni sono altre, te le fai tu”, e mentre cerco di farmi capire, pur sapendo di avere 0 possibilità annuisco, inghiottisco un'altra caramella targata Rockfeller, spariscono i timori. Anche nel sogno volevo dare un calmante alla signora. Era caduta a terra, non voleva rialzarsi ed incolpava me di non averla aiutata.
Non ho imparato niente da nessuno dei due sogni...
... se anche ora stessi...
Mi do un pugno al lato della bocca. Capisco di essere perfettamente sveglio mentre ci metto sopra la borsa del ghiaccio e faccio il numero di telefono del bastardo, per vedere se è disposto ad onorare le Nostre tradizioni.
Tradizioni... sì. Combacia. Tradire la Natura per rifugiarsi nella confortevole illusione di sistematici atti reiteratamente ripetuti per tenere lento e lineare l'apparato più famigerato (il colon non dà tutti quei problemi). Eppure sono tradizionalista. Senza noi, senza il potere ridimensionante dei Giusti, la gente potrebbe anche credere di essere nel giusto. La gente pensa, cosa pensa la gente, cosa crede la gente.
NAUSEA.
Dobbiamo orchestrare le loro esistenze, celebrare le nostre, così vibreremo di stelle come il Rod Serling di due sogni fa.
Poi... estinzione?
Prima vedo che ne pensa mamma.
“Mamma?”.
“Cosa vuoi figliolo?”.
“Cambia registro, non siamo borghesi degli anni '70”.
“Non siamo neanche qui”.
“Ecco perché non mi odi”.
“Sogni il mio affetto. Mi piaceva saperlo”.
“Mi sottovaluti. Miro alle stelle”.
“Cosa vuoi, sto cucinando per oggi, per domani e forse giovedì”.
“Volevo chiederti se sei d'accordo con l'estinzione”.
“Se analizziamo quanto l'odierna società sia stata influenzata dal pensiero retrogrado dei filosofi del tardo ottocento ... oh, mi si sta bruciando il sugo. Fa' come ti pare, basta che non sporchi”.
E sia.
La spina del trasformatore sembra rovinata, le avevo detto mille volte di starci attenta. Inutilizzabile. Non mi ascolta nessuno, condannato ad ascoltare tutto di tutti. È karma in ribasso, pagare colpe delle vite passate. Non sono tesserato coi buddisti, non dovrei essere soggetto al giudizio, alle decisioni degli dei altrui. Il mio dio è Steven. Rispondo solo a lui delle mie azioni. Devo contattarlo per chiedergli cosa ne pensa.
“Pronto Stevie, sono io”.
“Uomo senza nome, ancora tu”.
“Sto meditando per l'estinzione”.
“Sei troppo duro con te stesso, per questo disprezzi gli altri. Specchi esseni”.
“Non sono troppo duro. Hai spezzato braccia a migliaia di persone”.
“Faceva parte del contratto. Rispettavo i miei nemici. Rompevo per denaro, tu esageri”.
“Una volta hai disgregato la faccia di uno colpendolo con una palla da biliardo nascosta nel fazzoletto solo perché aveva venduto droga a tua nipote. Poi io sarei lo stronzo”.
“Attento a usare maleparole, m'irritano l'aura”.
“Scusa Stevie. Ricominciamo. Domando, rispondi”.
“Spara”.
“Sono contro le armi”.
“Il tempo stringe”.
“E soffoca. DUNQUE, sei d'accordo? Li mettiamo a tacere?”.
“Opera come credi. Nella prossima vita la pagherai”.
“Ormai è una vecchia, sorpassata storia. Nuova incarnazione prigione concessa per scontare la precedente? Sarò più bastardo di prima. Comportandomi peggio non pagherò mai nessuna colpa, lasciando l'inconveniente al prossimo”.
“Ti disprezzo. Lo dico a Buddha”.
“Come ti pare. È il tuo datore di lavoro”.
“Hai ragione. Anch'io ho da imparare da te”.
Ricapitolando: mamma e Steven Seagal sono d'accordo. Ho il benestare del mio peggiore nemico, la benedizione del mio maestro spirituale. Inattaccabile, invincibile come un eroe mitologico, nessuno potrà fermarmi.
“Attento, non vedi?, ho passato lo straccio”. Mi fermo cinque minuti, contando le gocce d'acqua sul pavimento delle scale. Deve asciugarsi, altrimenti non posso passare. Farmi fermare da una vecchia è l'antitesi dell'immagine dell'eroe imbattibile. Spicco un vertiginoso balzo, fuggendo da ninja professionista. Fuori dal palazzo, sotto la neve serena, volano lame ingiuriose contro la mia persona, ferendomi allegoricamente le spalle.
Passa lo straccio e zitta.
Sono teso perché è successo tutto all'improvviso e non ho potuto capire, accettare, somatizzare. Tutto si sta accelerando, il corpo agisce da solo, evidentemente più preparato, pronto e reattivo agli stimoli di quanto fosse nelle generazioni passate. Ero in cucina a casa di nonna, le ho fatto notare quanto sia preferibile iniettarsi una dose d'eroina, anche tagliata male con veleno per i topi, piuttosto che passare l'esistenza a vedere quella massa di ipocriti bastardi che cantano e ballano senza sapere fare ne l'uno ne l'esistenza in generale. “Cazzo ballano?”, ho detto ridacchiando. Nonna è rimasta interdetta. Avevo il sospetto che fosse la classica vecchia rincoglionita parcheggiata di fronte alla tv tutto il giorno in attesa della mistica falce tuttavia, appurando che, come un tenero gattino sotto la copertina, nonna guarda le immagini muoversi senza capirne i significati (parlare di significati televisivi è molto simile a voler spiegare la legge dei ritorni accelerati a un ribosoma strafatto di crack), ho riflettuto sul (non)senso della vita. Vale la pena ostinarsi a esistere all'interno di una società come la nostra, mentre quelli vengono pagati per mal ballare e vomito cantare, scosciandosi di tanto in tanto, per la gioia dei vecchietti più arzilli che poi li ritrovano morti d'infarto nel cesso dell'ospizio con l'uccello in mano e la foto di padre pio caduta nel piscio versato a terra dal bavoso andato a cagare dieci minuti prima?
Tornato a casa, senza un motivo (ce ne sono trentacinque, in realtà) mi sono abbassato, ho dato una testata allo spigolo della maniglia della porta di camera mia. La nascita crescita del bozzo è stata immediata. Viola e immediata. Per festeggiare ho tentato di dare un pugno al muro senza fare rumore. Il dolore ti fa sentire più vivo, diceva qualcuno. Se vuoi morire, perché dovresti sentirti vivo? Mentre raccontavo di aver “accidentalmente” sbattuto contro il mobiletto del computer, sotto il quale m'ero abbassato per aggiustare dei cavi che non facevano contatto (cazzo significa?), si è accorta del sangue dalla mano ed ha optato per non guastarci le feste di natale.
Forse è come sentenzierebbe il classico psicologo: io sto cercando di attirare la sua attenzione perché le voglio bene e, se lei stesse attenta a me, io potrei gioire dell'attenzione, fin quando non mi sentirei osservato, poi seguito, poi sarà la volta delle manie di persecuzione, della paranoia. Delle droghe, della violenza. Dei figli abbandonati nei cassonetti.
Signori psicologi, siete davvero convinti che esistano bambini bisognosi delle attenzioni dei genitori? Mi puzza come il culo d'un lemming investito su un'autostrada del deserto da un pick up con le ruote incrostate di merda del coyote investito mezz'ora prima di fronte allo sfasciacarrozze col cane malato di “PRONTO, PRONTO, PRONTO, SMETTILA, SMETTILA SMETTILAAAA”
“Cazzo vuoi, Tommaso?!”.
“Sei peggiorato”.
“Ti sei laureato di recente, non lo sapevo, posso chiamarti dottore, fantastico”.
“Non prendermi per il culo come fai con te stesso”.
“Ed estimatore di Osho! Non volevo regalarti quello schifo di libro ma era l'unica via a due euro”.
“Ah, così ai tuoi occhi valgo due euro”.
“E quindici, con la busta”.
“Bastardi. Gli fai pubblicità gratis e tu devi pagare loro”.
“Roba da matti”.
“Ancora a sfotterti?”.
“Finiamola. Dobbiamo darci una mossa, il tempo stringe”.
“Ommerda, hai parlato di nuovo con Sensei Seagal”.
“Ci ho provato: dottore, se mi togli il Seroquel sei un barbaro, gli ho detto”.
“Stavolta avevi ragione”.
“Come sempre”.
Ci guardiamo per un istante infinito. Capiamo che un istante infinito non è più un istante ma una serie interminabile di... giorni. No? Se leggi un libro di Tolle capisci che è sempre Adesso, il tempo è un'illusione. Nell'immenso potere dell'ora, qui, ADESSO, ordiniamo due long island potenziati e mettiamo a punto il piano.
“Non per essere invadente... che ti sei inventato? Tre anni fa mettemmo fuori posto i citofoni di mezzo paese e gli ultrasuoni fecero impazzire tutti i cani che fecero un casino coi fiocchi. L'anno dopo ci truccammo da rettiliani, poi ci ritruccammo da umanoidi e, quando il malcapitato iniziava a farci domande fastidiose ci strappavamo la faccia per mostrare la nostra verde vera natura di Grigi provenienti dal pianeta Nibiru. L'anno scorso ti sei riempito di medicine e sei rimasto nel letto a fare amicizia telepaticamente coi maialini cuciti sul lenzuolo. Quindi?”.
Spartizione dei compiti.
Rassicurazioni.
Altri tre giri scaccia ripensamenti.
Ripensamenti.
Punto della situazione.
Linea della situazione.
Rette infinite che passano per il punto.
Niente da perdere.
Facciamo?
Lo facciamo.
Prove sorriso.
3.
2.
1.
...
-1
-2
-3
-4
“Basta countdown”.
“Tommy, Tommy, Tommaso. Non avessi te...”
“Ti rimarrebbero 199 amici immaginari”.
“I numeri dispari portano sfortuna. Tu sei un ottimo 200esimo”.
“Fottuto sia natale, coglione”.
Ci abbracciamo per separarci.
I negozi sono deserti di tartaro, catapecchie addobbate per nessuno. Riescono ad arrivare a fine mese senza reali guadagni e hanno anche denaro per ulteriormente imbruttire la strada; la tabaccaia ha installato un babbo natale meccanico a grandezza naturale in mezzo al marciapiede. Si dimena (il babbo) suonando un sassofono di plastica, Jingle bell versione afro funky soul yeeea, mi chiedo/chiedo alla voce nella testa come fa a sudarmi la fronte, ricordo quattro long island guerrieri, combattono il freddo di fine dicembre senza scomporsi. Mi fa male un gomito, sono un bimbo impulsivo, non posso continuare, basta, prendere a pugni (gomitate) parti anatomiche della casa, ci devo dare un taglio, devo darci un taglio, devo darmi un taglio in faccia per sembrare più cattivo (non ne ho bisogno, la cicatrice sotto l'occhio li fa scappare tutti), giocherello con le cuffie del lettore mp3, seleziono la playlist Sons of Anarchy per agire, morire da motociclista (mai avuto nemmeno il Ciao), elaborando il piano per farlo brillare oltre le vette luminose del sapere tramandatoci dai nostri antenati morti in cattività, far apparire opzioni come un piano di fuga se qualcosa va storto, non sono più lo stronzo di tre anni fa, sono inquieto al cubo, altro che quieto, è l'ultimo scherzo che posso permettermi, manco costasse soldi, il bancomat è pieno da che venni al mondo, la moneta più cara che c'è, peggio del dollaro, più aggressiva della sterlina, agghiacciante come l'Euro dopo 11 anni di debito pubblico compulsivo (ho spento il gas?), entro nel panificio, compro una pizza coi carciofi, sanno di cetriolo sotto aceto balsamico, sotto i sensori ottici speranzosi della bionda panettiera gnocca, dipendente di un'attività semi commerciale da pochi scontrini al giorno (in basso a destra c'è scritto “ricevuta fiscale numero 23; sono le cinque del pomeriggio). In vetrina del negozio di giochi c'è un cartellone pubblicitario monodimensionale da far accartocciare la pelle, una famiglia assemblata dal fotografo, felice e disonesta, telecomandi Wii impugnati da manuale, saltano ballano disputano gare di macchine anni '50 cantano le canzoni di Grease con l'omonimo videogioco saldato nella consolle, la tristezza sferza flemmatiche coltellate all'altezza del fegato, “Ci vuoi il ghiaccio?”, “No, liscio”, “Un long island senza ghiaccio ti viene otto euro”, “Più tequila, meno vodka”, “Sei a 5 alle cinque del pomeriggio”, “Tanti drink tanto lavoro”, “Sfotti?”, “È entrato qualcuno, a parte me, oggi pomeriggio?”, “Vigilia di natale, tutti a casa coi parenti, chi ce li ha”, “Gli altri anni facevi il pienone”, “Le cose stanno cambiando”, “Mi cambi un biglietto da 50?”, “Non ce li ho”, “Come pensavo. Vabbè', ciao, auguri di buon fallimento”, “Vaffanculo”, “Felice anno nuovo pure a te”.
Sto per suonare il campanello; suono il campanello. Me ne sto per andare, non c'è nessuno, però la porta si apre, odore di marijuana da 20 al grammo, le cose non quadrano, è odore di sugo, signora, dove hai comprato le spezie, al parco?
“Desidera?”.
“Il potere di dio. La parola del signore. Oggi è la vigilia. Di cosa? Perché festeggiare se non è successo niente?”.
“No, guardi, non ci serve niente, siamo cristiani, non ci interessa”.
“Il vero unico dio è Jebediah Springfield”.
“Chi?”.
“Il fondatore di Springfield”.
“Cos'è Springild?”.
“La terra promessa, la fabbrica di Duff”.
“Senta, ho da fare, è uno scherzo”.
“Il diavolo fa scherzi. E pure i coperchi. Io porto la parola del signore. Mi lasci entrare. Tre minuti, solo tre minuti per parlarti di me. Tre minuti, solo tre minuti per fidarti di me”.
Un carlino sonnecchia bavoso sul divano coverizzato da una trapunta rosso elettrico, un pugno a uno stomaco impreparato e dolente. “Bel cane”, mentre mi guardo intorno come un agente immobiliare all'ultimo stadio della psicosi da venditori di nulla. Mi siedo, si siede.
E adesso cosa mi invento?
“Devo usare il bagno”.
“... in fondo a sinistra”.
“Immaginavo”.
“...?”.
“L'ultima casa... oh, lasciamo perdere”.
Il bagno sembra uscito da una rivista. È il bagno di una rivista. Non esistono riviste che vendono bagni, casomai sembra un bagno uscito da un catalogo di bagni. Cerco ispirazione tra spazzole dentifrici al bicarbonato (denti più bianchi? Il bicarbonato di sodio corrode lo smalto dei denti). Tiro l'acqua mentre lei è seduta a braccia conserte affianco all'aborticino stravaccato sul peggior divano della storia dei cataloghi di divani.
Una sbirciata in cucina.
“Cosa doveva dirmi? Ho fretta”. Tiro su col naso, temporeggio con gli occhi, faccio far loro giro girotondo, poi li connetto ai suoi e siamo una cosa sola. “Senta... è il mio primo giorno”. Si rimette a braccia conserte. Forse è una maestra delle elementari, o una della municipale; sono le movenze di chi ha sempre da riscuotere.
“Sei un venditore, lo immaginavo”.
“Sì. Vendo un prodotto indimostrabile gratuito”.
“Gli altri... oddio... perché ti ho fatto entrare?”.
“Stai cercando la salvezza. L'anima degli smarriti gioisce con gli uomini di Jebediah”.
“Non ho mai sentito parlare di questa... religione?”.
“Siamo la chiesa del solo dio unico padre dell'uomo”.
“Lo dicono tutti”.
“Noi abbiamo ragione”.
“Lo dite tutti”.
“Noi siamo più tutti di tutti. Uno a zero, toh!”, detto col classico gesto di tiè.
“Maleducato, scostumato”.
“Non la sentivo dalle elemen... fai la maestra? Sei una maestra”.
“Tu... per favore, fuori di qui”.
Bastarda infarcita d'istruzione da quattro soldi. È andata male, sono un impreparato idiota megalomane fallimentare onanista mancato per handicap. Sto per dare un calcio al portone quando sento una porta chiudersi. “Dove sta andando?”.
“Stavo per uscire anche prima”.
Bingo!!!
Non ho forza, un buco nello stomaco, torride ascelle infestate da detriti primordiali simili a pelle deceduta. Un big bang di schifezze condensate nella parte superiore del corpo. Chissà sta andando a Tommaso. Dopo la morte dei genitori si è svegliato, la crisalide è divenuta zucchero filato multi gusto. Non è più il timidone stronzo pezze al culo sempre zitto e mosca (diceva la madre: “appena nato neanche piangeva: attendeva ordini). Per questo gli ho assegnato il compito più loquace, lontano da me, dalla mia preziosa inestimabile compagnia.
Un degno successore. Lo promuoverò.

Stamattina, verso le dieci e mezza, un'insolita foschia ha sovrastato il lungomare, riverberava nei miei occhi, rimbalzava sulla strada scivolosa e i raggi del sole erano definiti, distinguibili, tanto che ho dovuto mettere gli occhiali da sole, incapace di guidare con lame fotoniche negli occhi. Tuffandomi nel tunnel di luce, al suono di Beatles mai così natalizi, il suono delle onde che si infrangevano sugli scogli, scagliandosi con naturale violenza, ho provato sensazioni diverse dalle solite. In tutto saranno una decina, a rotazione. Ogni natale ho il batticuore per la storia delle visite a sorpresa. L'idea di non farla franca supera il tasso di stress comune. Non può sempre andarci bene. Sono incapace di contraddirlo, voglio troppo bene al mio giovane matto pazzo scoppiato amico senza cazzo. È stato un coglione ingenuo quando se lo distrusse contro il ferro del letto per aver dato retta a quell'idiota, che poi è anche finito in carcere per una decina danni. Ho deciso di avere un rapporto mai avuto con nessun altro in uno dei miei pochi sprazzi di istinto puro. Trasparenza e onestà sono le fondamenta. Parlare saltuariamente. Per non mentire bisogna limitare le parole, sceglierle con cura. Pare un incubo, poi diventa meccanico come tutte le altre azioni comuni. In giro non c'è onestà perché oggi non può più esistere, il castello di cazzate crollerebbe se solo quelle fottute 150 persone ai vertici del sistema mondiale iniziassero a dire la verità, svelare i trucchi della manipolazione di persona, in diretta televisiva. Questa è fantascienza. Dick, Asimov, erano solo futurologi intelligenti, travestiti da romanzieri per motivi ignoti, le loro “profezie” si sono avverate, si stanno avverando sotto i nostri occhi annebbiati dall'ultimo modello di telefonino tostapane frigorifero tutto insieme installati in un dispositivo da cinque pollici. Ho esagerato? Diamogli qualche mese, a questa patetica “evoluzione” , poi staremo a vedere cos'è la fantascienza. M
i stupivo di rado; non mi hanno stupito i loro rantoli quando mi supplicavano come bambini annegati in un lago di sangue pieno d'odio e pesci carnivori. Ne ho avuto abbastanza, anni e anni sulla stessa strada, stessa direzione. Ho cercato di parlarci, di aprirgli la mente; hanno continuato a utilizzarmi con lo stesso scopo a cui è servita la mia nascita. Sono un bidone dell'immondizia empatica per scaricare fallimenti, colpe degli altri, in particolar modo le sconfitte di mio padre e mia madre. Durante gli anni maledetti ce l'ho messa tutta, senza neanche un accenno di risultato. Di un felice epilogo. Il coltello è partito da solo, neanche mi ero reso conto d'averlo impugnato dalla parte sbagliata. L'ho capito alla fine, quando sono spirati soffocati dal loro schifoso viscido sangue e la mano mi bruciava tanto che l'ho dovuta ricucire con dieci punti. Neanche questo mi preoccupa. Sono le visite. Sarà un anno decisivo per me, per il mio amico, per gli abitanti di questo dannato paese vuoto a perdere. Mettersi a tavolino per discutere non è poi così difficile, eppure tutti hanno ragione, il signore è dalla loro, io io io io io me me me me me. Sono esploso e ho capito una banalità. Non è propriamente una banalità; avevo sopravvalutato la vita, sottovalutato l'ignoranza. Quando le parole non sono comprensibili, prive di efficacia, deve inesorabilmente innescarsi un meccanismo violento che travolga i colpevoli della disarmonia. Fa parte dell'evoluzione: anticamente sopravvivevano i più forti, i deboli venivano annientati. Il paradigma sociale si è stabilizzato contro natura, i mal messi sopravvivono grazie alla diavoleria chiamata denaro, la selezione naturale ha fatto un balzo verso il vuoto, andando a eliminare non più i deboli, bensì gli ignoranti. Se non capisci come stare al mondo e non vuoi che te lo insegnino, al pianeta servi ancora meno di ciò che servi: a un cazzo di niente. Prima del nostro massiccio avvento invasivo distruttivo, la madre Terra se la passava benone, in completa armonia, godendo dei suoi venti, dei suoi oceani, vulcani, rocce, animali.
Nessuno è innocente, siamo tutti colpevoli, nessuno merita una lacrima. Dobbiamo operare al posto della natura perché lei ha fallito. L'abbiamo resa ridicola, l'abbiamo smontata e lei non funziona più, non si ricorda cosa deve fare.
Ho paura pure se so che è una programmazione di vecchia data, inculcatami nel tempo con grida e schiaffi. Nulla può essere peggio di questo schifo. Le sbatto la testa contro il termosifone e crolla come una pera cotta. La lego, la imbavaglio, rimodello i parametri poi passo all'appartamento seguente. Per strada c'è il gelo della morte; ho caldo, tanto caldo. Spengo i riscaldamenti, faccio due chiacchiere di circostanza e quando mi offre completa fiducia, baciandomi con le labbra raggrinzite, la colpisco dietro la testa stordendola. Guardo i documenti con ribrezzo. Ha 70 anni, ne dimostra cinquanta. Un cassetto pieno di medicinali vari. Il paradiso di ogni tossicomane è in questo appartamento ai confini della realtà. Vede la vecchiaia come una malattia da sconfiggere, pazza schifosa omologata al pensiero comune dell'essere di mezza età medio. Gli infilo in gola un pugno intero di caramelle tossiche a casaccio, aspetto che soffochi nella sua paura di tutto, sperando che almeno punto di morte capisca una sacrosanta verità. Alcolismo, teledipendenza, assuefazione a persone insignificanti, terrore d'invecchiare, non sono malattie, solo uno strumento per misurare il valore d'una vita senza senso. Siamo la malattia di noi stessi e ci vogliamo eliminare per guarire. Le nostre cellule dovrebbero aver paura di noi. Forse già ce l'hanno, per questo invecchiano più rapidamente o impazziscono in sfavillanti tumori su tutto il corpo. Putrescenti ammassi di cancri attendono di essere riposti in una cassa di legno. E quel che è successo nel frattempo lo si chiama “vita”. Chiacchiere, chiacchiere, è un dono se sai farle fruttare, come in questo caso. Diffidenza spaventata, perciò immagino che mi lascino entrare perché ispiro fiducia col mio bel sorriso, il quale rimane stampato anche quando finisco di spegnere le loro vite spente. Piangere, implorare, non attacca. Se solo potessero entrare nella mia testa, provare una motivazione così determinata, il senso di totale giustizia, probabilmente tacerebbero, acconsentendo con profonda complicità, totale arrendevolezza all'evolversi dell'evoluzione. È ancora presto per parlare di tecnologie capaci di leggere il pensiero; in questo campo, basta uno sguardo per trasmettere mille concetti, diecimila parole, dodici bottigliate in faccia, un sorriso stupido aperto da guancia a guancia del macho dio patria famiglia sotto i miei piedi indolenziti a furia di pestargli le palle contro il pavimento decorato con mille schegge rilucenti sotto un patetico neon di un signor nessuno anima e corpo modificati per apparire più integrati agli occhi degli altri inutili esseri vuoto a perdere non riciclabili. Non credo che dalle nostre bottiglie di plastica ricavino qualcosa, devo vedere coi miei occhi, perciò sciolgo una bottiglia di Tè al limone negli occhi di madre e figli, ricavando una bruciatura sulla mano e la conferma della mia legge sull'inutilizzabilità dei sapiens sapiens.
Di nuovo in strada sento felpati passi dietro me, come se mi stessero seguendo, come se sapessero cosa abbiamo in mente io e il mio decerebrato amico rotto in culo. Gli consiglierò di eliminare i suoi genitori come ho fatto io. Sto meglio, mi è passato il mal di testa, non ho più quel senso di nausea esistenziale che mi ha accompagnato negli ultimi tre anni.
Meglio di ogni altra medicina.

Barcollo e mollo una scoreggia passando tra due signore indignate per la volgarità della natura (se ha progettato intestini accumula gas... insinuate che sia colpa mia anche stavolta?). “Cazo uaurdate”, trattenendo conati di vomito (ho esagerato coi long islblaaaaaaaa) senza successo, inzuppando una pelliccia di vera volpe. Rido di cuore mentre scappo lungo la strada, sotto lampioni sempre accesi, sentendomi un vendicatore da fumetto di serie A. Lei, schifosa patetica vecchiaccia tanto stupida quanto ricca, anche se indirettamente, ha fottuto la volpe, l'ha eviscerata privandola della vita e io le ho lasciato addosso l'odore dell'orrore di essere vivi a discapito di innocenti.
Gli altri animali non hanno colpa.
In queste condizioni non posso fare niente.
Architettato da me a mia insaputa per non arrivare fino in fondo? Buona ipotesi. Non ne sono pienamente sicuro bluaaaa, contro la vetrina di un negozio che più chiuso non si può. Mi metto a sedere poco lontano dai preziosi long islblaaaa sprecati, in vista dell'ondata paranoica di ogni volta che bevo troppo oltre tanto per non occuparmi delle responsabilità ma va bene così, ci pensa Tommaso. Il mio piano funzionerà, anche senza il mio appoggio.
Potrei far ricad...
Un pugno in faccia per tornare sulla strada dei giusti. Forse un po' troppo forte. Male alla mandibola, incapacità di apritura e serratura fauci. In piedi. Fontana. Testa, polsi sotto l'acqua gelata.
Lucido.
Lucida follia.
Odore di gas.
Tutto questo è troppo per me. Sovraccumulo di dati, troppi dati tutti insieme, il cervello sembra traballare, surriscaldandosi come un transistor prossimo alla fusione. La prima cosa che desideri dopo il primo passo mosso oltre la linea del punto di non ritorno è tornare indietro. Putrido e infantile come giochetto mentale; succede. È così. Una fanciullezza prolungata tutto l'arco della vita. Mi piacerebbe andare a vivere in Florida. La prescrizione di farmaci non è sorvegliata o limitata da nessuna legge. Essere in cura da una dozzina di dottori, farsi prescrivere tonnellate di pillole contro ogni dolore immaginabile (e inventato), strafarsi, stramegarifarsi, tirando avanti coi soldi ricavati dallo spaccio del surplus.
Se è possibile che si abbiano a disposizione farmaci “in più” rispetto a quelli che vorrei spararmi dentro.
Mi metto a giocare con un bastardino nero a chiazze grige in via Tasso. Scarto una caramella, gliela metto di fronte al muso. Abbassa la testa, va via. Una tipologia di animali abituata a mangiare la merda nei cassonetti rifiuta una golosa e deliziosa caramella. Magari non è così buona come pensiamo. Se hanno i sensi amplificati, probabilmente fiutano schifezze precluse al nostro limitato olfatto.
I sensi mi fanno senso più della vita.
Un'altra tirata di ossicodone, non sentire dolore.
“Chi è ”.
“Sono l'uomo dei sogni, baby”.
Entro per un pelo, era quasi riuscita a sbattermi la porta in faccia, mandare a monte tutto il lavoro. Tecnicamente c'è riuscita, guarda che taglio, brutta bastarda di una testa a noce. “Chiamo i carabinieri”, corre verso il telefono con la grazia di un caimano privo di ossa.
“Parla più piano e nessuno sentirà”.
“Cosa vuole da me?”.
“Sistema di merda. Diamo sempre per scontato che gli altri vogliano qualcosa da noi, nessuno fa nulla per niente, chissà che tempo farà domani, la mia squadra ha perso, la benzina si è alzata, bla bla bla”.
“Un pazzo è entrato in casa mia e...”
“Calma, tranquilla, porca puttana, voglio solo parlare”, strappando il filo del telefono con una strattonata pazzesca. Mi sono fatto male alla mano. Oggi è una giornata... guarda tu!
“Sei felice della tua vita?”.
“Cosa vuole?!”.
“Basta, hai rotto con questo ritornello da sceneggiata stupida”.
“Cos...”
“Dillo un'altra volta e ti stacco quella testa di cazzo”.
“...”
“Bel modo di parlare”. La invito a sedersi sul suo divano, in casa sua.

Non sapevo se ridere o tuffarmi giù dal balcone quando ho scoperto che esistono tappi per le orecchie laser. Alla fine li ho comprati per niente. Dovevo portarmeli dietro, i dannati tappi per le orecchie, manco dio riceve tante suppliche in un solo giorno, snervate e triste insieme come la discografia di Guccini. Non vogliono arrendersi eppure non lottano. Incredibile! A un certo punto ho iniziato a parlarci per capirci un tassello in più, anche se non ho molto tempo. Si era ripetuto più volte, “velocità” per conseguire la vittoria. Mi concedo una domanda a persona prima di spaccare, fracassare, martellare, pugnalare, soffocare, iniettare, sgretolare... supplicare. Avete rotto, non vi sopporto più, smettetela, vi supplico io, la sovrapposizione delle vostre voci del cazzo fa soffrire, mi rende sofferente, lo so, non c'entrate niente, non è colpa vostra, se non state zitti, non fate cazzo di silenzio, io non posso riuscire a spiegarvi per quale motivo sia colpa vostra, colpa, colpa, le vostre colpe, quali colpe sono, perché dovete pagare, nessun martire, nessuna gloria, i santi li fa la chiesa, non è la natura a condannarli, anche i santi vivevano da peccatori, erano colpevoli, tutto quello che gli succedeva lo meritavano, non era mai troppo per fare giustizia, alla faccia del karma, non credevano...

Mi sveglio di soprassalto con la gola piena di rocce appuntite, quasi mi viene un infarto quando decifro un carabiniere nella stanza, un cagnesco cane idrofobico ammaestrato dalla dittatura statale, pronto a manganellare un pensiero oltre il limite consentito. Un altro dannato sogno. Sogni nei sogni.
Dev'essere un sogno anche questo: palazzi in fiamme, gente si dispera strappandosi i capelli, rovistando tra mattoni, gridando a squarciabudella, urlando assassino, criminale, bastardo, tirandomi i capelli, lanciandomi pietre in faccia, sputandomi in bocca, sul vestito sporco di vomito, mentre lo sbirro mi spinge a tutta birra dentro il blindato, con tanto di logo e finestrelle a buchini, per portarmi nel loro amato quartier generale di minorati sgrammaticati. Tanto vale fare due chiacchiere anche stavolta. “Tommaso? L'avete beccato? Dov'è Tommaso?”. Poi mi metto a ridere di loro perché non conoscono Tommaso, non sanno chi sia, cosa provava per i suoi genitori sventrati a coltellate, dove abita, cosa fa per vivere. Solo io e Tommaso lo sappiamo. Gli voglio bene anche se è un fottuto traditore. Non posso prendermela con lui, no. Ci ho pensato anch'io a scaricare la colpa su di lui. Tommaso ha agito per primo. Ha aperto i pomelli del gas di tutte le cucine utili e ha innescato un bel falò paesano, il più grande barbecue umano a cielo aperto che la storia conosca.
E adesso se ne sta nascosto da qualche parte nella mia testa, attendendo il momento per tornare su e farmi compagnia.



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