domenica 19 dicembre 2010

UN VIAGGIO PSEUDO NARRATIVO TRA LE NOSTRE MENTI MALATE. PENSI SIA GRATUITA ESAGERAZIONE?MMMM, MI SA DI NO


SIAMO DISPERATI.
MIA CUGINA HA QUATTRO ANNI ED E' SPACCIATA.
SI PIAZZA DI FRONTE AL TELEVISORE, SCHIAFFA I BARBAPAPA' NEL LETTORE E SI ECLISSA. MIA ZIA LE HA PROVATE TUTTE PER FARLA DISINTOSSICARE, LE HA PERSINO OFFERTO UNA DOSE DI EROINA PURA AL 90% MA NIENTE. PREFERISCE I BARBAPAPA'. MI HA GUARDATO STORTO, HA DETTO: - SE SOLO TI AZZARDI A TOCCARE IL DVD TI CASTRO A MORSI, POI MI TAGLIO LA GOLA E FACCIO RICADERE LA COLPA SULLA TUA FOLLIA.
COI BARBAPAPA' NON SI CAZZEGGIA.

PS: QUELLO ROSSO ("SFATTINO"; QULCUNO SA PERCHE') E' IL PIU' TENERO DI TUTTI.
... EBBENE SI'... ANCH'IO HO DEI SENTIMENTI.
OVVIO, VERSO I BARBAPAPA' E TUTTE LE COSE CHE NON ESISTONO!










QUESTA MI HA FATTO PISCIARE SOTTO DAL RIDERE: GUARDATE QUELL'UBRIACONE LI' IN MEZZO. ERA CONVINTO CHE FOSSERO DEI TAXI DI LUSSO.

SE NON HAI MAI LETTO QUESTO BLOG MAGARI PENSI CHE SONO UN IGNORANTE.
CI HAI AZZECCATO IN PIENO!
PRENDI LA TUA STORIA APPRESA TRA I BANCHI DI SCUOLA E INFILATELA DOVE E'NATA INSIEME AL LIBRO CUORE.
SE LE COSE NON CAMBIANO, E NON SONO MAI CAMBIATE, CAZZO SERVE MITIZZARE IL PASSATO?
MASTURBIAMOCI IPOTIZZANDO IL FUTURO... ANCHE SE NON SI PUO'; LA SINGOLARITA' TECNOLOGICA NON E'FACILE DA IPOTIZZARE...








HO UTILIZZATO UNA MACCHINA DEL TEMPO PER ANDARE NELLA ROMA DEL 2015.
APPARIVA COSI'.
A CHIUNQUE HO MOSTRATO LA MIA FOTO E' PIACIUTA.
SONO RIMASTI TUTTI SODDISFATTI.
LA MORALE E': ITALIANO MEDIO MAMMONE TIMOROSO DI DIO E DELLA CHIESA, CONTINUA AD AMARE LA DITTATURA, ROSSA O NERA CHE SIA.
L'UNICA COSA CHE PUOI SCEGLIERE NELLA TUA VITA E' IL COLORE DELLA DITTATURA CHE TI GOVERNERA'.
DIFFICILE RAGIONARE CON LA PROPRIA TESTA, EH?
NON C'E' PROBLEMA, C'E' IL DITTATORE AMICO PER RISOLVERE I TUOI PROBLEMI.
NON E' MERAVIGLIOSO?
AMO LA VITA SEMPLIFICATA.








Avevo promesso di pubblicare la storia di natale ma sta venendo più lunga e ambiziosa di quel che pensavo, perciò rinvio alla settimana prossima.
MA: è meglio una storia lunga o 11 ministorie brevi?

A voi la scelta.

Grazie per aver scelto la ditta odiotarantino e buon viaggio.

C'E' UNA QUINTA DIMENSIONE, OLTRE QUELLE CHE L'UOMO GIA' CONOSCE. E' SENZA LIMITI COME IL DEBITO PUBBLICO, E' SENZA TEMPO COME UN GIORNO SENZA VODKA. E' LA REGIONE INTERMEDIA TRA LA LUCE E IL BUIO DELL'IGNORANZA, TRA LA SCIENZA UFFICIALE E LA SUPERSTIZIONE MERIDIONALE, TRA L'OSCURO BARATRO DELLA DIPENDENZA TELEVISIVA E LE VETTE LUCROSE DELLA CLASSE DIRIGENZIALE. E' LA REGIONE DELL'IMMAGINAZIONE, UNA REGIONE CHE ORMAI SI TROVA... OLTRE I CONFINI DELL'IRREALTA'.

Ero andato in ufficio per recuperare una penna stilografica regalatami da mia madre prima di morire. Dovevo assolutamente buttarla nell'immondizia. Volevo scordarla, coi suoi chili di troppo nella pelle e nel cervello. Sentii delle grida disperate che mi fecero accapponare la pelle tanto da potervi praticare un piercing con un semplice utensile (una penna stilografica, per esempio). Con le spalle al muro, silenziosamente, mi diressi verso lo strazio. Fui scoperto all'istante. C'erano una ventina di dipendenti in ginocchio su pezzi di metallo a forma di croce, il tipo di chiodi speciali per bucare gomme speciali di nemici speciali. Rotule scavate, un fiume di lacrime mischiato a un oceano di sangue. Brandelli di carne, dita, orecchie mozzate. E grida. Involontariamente mi unii al coro, incapace di sopportare tutta l'atroce disumanità creatasi nella stanza. “Perché, figlio di puttana, perché?!”. Il boia si tolse lo scarlatto cappuccio, rivelando a me, ai torturati l'identità operante dietro al massacro. “Salve, Nardinocchi. Non pensare male. Non mi sto divertendo”. Rimasi pietrificato come un villaggio western depredato da zombie indiani. “Come potete fare...”. Il boia cadde in ginocchio. “Ci shtà la crisi. Stiamo facendo tagli al personale”.
Convenni sulla crisi che ci shtava. Preso un sacchetto formato extra, raccolsi ciò che rimaneva dei miei colleghi. Quel natale potei permettermi un cenone del tutto rispettabile, a costo zero.
Fu così che potei uscire indenne dalla crisi.
Fin quando non venne il mio turno.
Per farmi le seghe ho bisogno di qualcuno con mani e dita.
Ora sono un cane.

Due anni fa è morto un mio carissimo amico (non ricordo il cognome). Incidente con la moto. Una macchina gli ha tagliato la strada, scaraventandolo con la schiena contro un palo. Una morte scontata, per il tipo in questione. Il bello e dannato circondato da femmine, perennemente drogato. Una madre gravemente malata da accudire. Molti sogni, tanti silenzi. E sorrideva. Galleggiava sul mare di merda a modo suo.
Stamattina sono andato a trovare un mio amico (non ricordo il nome). Ci sono rimasto come un idiota, quando ho trovato un bigliettino attaccato alla porta di casa sua. “Sono andato in ufficio per prendere una certa penna da buttare via”. Tornando a casa il semaforo mi ha imposto di fermarmi. Per ingannare la noia del prosaico elettrodomestico comunale a tre luci, ho mi sono dato un'occhiata intorno. C'era il pannello dove vengono affissi i necrologi, affianco al pannello delle feste organizzate dalla pro loco. La foto del mio bello e dannato amico (in questo istante ricordo nome e cognome) mi stava guardando inespressiva. L'avevo dimenticato. La foto mi aiutò a creare un collegamento macabro, sebbene fosse natale e a natale le famiglie si riuniscono per celebrare la nascita di qualcosa che verrà frustato, sputato, crocifisso qualche mese dopo, sebbene la versione ufficiale parli di 33 anni di incessante attività sciamanica. C'era la sua foto, lì, tra tante foto, affianco alla castagnata e “pesce sotto la neve” sponsorizzate dalla pro loco, perché ricorreva il secondo anniversario della sua scomparsa.
Mi sono precipitato al centro commerciale, ho sgomitato una ventina di minuti però sono stato fortunato. Era l'ultimo rimasto. Sono riuscito ad aggiudicarmi una copia della compilation commemorativa del secondo anno senza Luca Marzetti. Doppio cd più dvd del live, anche se mi è sembrata macabra, la trovata commerciale di pubblicare un live di un dead.

Seduti di fronte a un buon te al rum, musica caraibica in sottofondo, ho discusso con la follia. Le chiesi come potessi vivere con lei che continuava a cantarmi a squarciagola nella testa. Ha detto: “Non ascoltarmi”. Le ho detto: “È impossibile, non ce la faccio”. Ha detto: “Arrangiati. Ognuno fa il suo mestiere”. Ci ho riflettuto su; mi sono arreso. Ci shtà la crisi, bisogna inventarsi un lavoro originale. D'ora in poi sarò il folle del quartiere. Se siete stanchi del vostro animale domestico o se non sopportate il vostro umano domestico chiamatemi. Agisco e ripulisco per pochi soldi. Accetto anche pagamenti in cibo biologico. Non mangio lo schifo dei supermercati. Voglio vivere in eterno. Senza annoiarmi.

Mi sono allontanato dal tavolo operatorio improvvisato sul mobiletto della cucina, con una strana canzone tra le labbra. Ho preso il barattolo della formaldeide. Il gatto non ha opposto resistenza, gli ho fatto una piccola iniezione di chetamina. Ho imbalsamato i suoi gattini appena nati perché non volevano morire. Sono andato in camera. Il cane abbaiava, non capiva i gesti degli umani. Ho imbalsamato i suoi cuccioli. Si erano frapposti tra me e lei. Non sopporto di essere messa in secondo piano. Quando il calmante ha smesso di renderli docili, la cagnolina e la gattina hanno litigato. Si mordevano. si graffiavano. Hanno distrutto i mobili della sala e sono morti. Adesso sono sola. Mi faccio le pere ma non c'è sollievo. Mi sento sola, per questo ho deciso di ripulirmi, comprare un mazzo di fiori e una torta, andare a far visita a mia sorella. È un giorno speciale. Ha partorito.

Mi chiedono come faccio a fare il babysitter con tutta questa neve. Non sanno quanto i morsi della fame ti spingano in basso. Sono arrivato al campo nomadi due settimane fa. Ancora non sospettano di me; quando si le grida di una madre che non ritrova più i suoi bambini soverchiano la monotonia dei giorni tutti uguali, prendo la chitarra e intono Djobi Djoba. È arrivata la polizia, hanno strillato, fatto volare manganellate. Sono rimasto impassibile. Mi sono inginocchiato con le mani dietro la testa, ho finito di masticare l'ultimo femore. Sono in carcere. Mi chiedono come faccio a fare il babysitter sotto la neve. Accendendo una sigaretta, gli svelo il mio segreto. “Basta bollirli nell'olio condito con la maggiorana 42 minuti, non uno di più”. Ci siamo stretti la mano. Mi hanno rilasciato perché sono un uomo bianco nato e cresciuto qui. Dovevo inventarmi un lavoro, con tutta queshta crisi. Lavoro per la polizia. Loro mi indicano il campo nomadi, io vado ad accudire i bambini. Sono rispettato e ben voluto, tanto che a natale hanno fatto una grande colletta per regalarmi una Hanika Famenco ZF nuova di zecca. E io canto, canto, mastico, mastico. Quando non ci sarà più il problema immigrazione mi promuoveranno ad assistente della Caritas. Con questa crisi i barboni sono aumentati vertiginosamente. Non c'è spazio per tutti.

Siamo cresciuti insieme. Era il mio migliore amico. Ho scelto i numeri, lui la musica. Sono rimasto confinato nel mio paesino natale. Nel nostro paesino natale. Ogni suo album vende 100.000 copie una settimana prima della pubblicazione. Ha stabilito il nuovo record di prevendita. Dicono che la sua musica ha successo perché il suo manager, lo stesso di Elvis Presley, nasconde dosi massicce di messaggi subliminali in ogni brano. Chi ascolta la sua musica diventa schiavo nel giro di un lato A. Finito il lato B sono musicodipendenti irreversibili. Non ascolto la sua musica; mi sento tradito. Ha tutto ciò che può desiderare. Auto, soldi, donne, persino potere (il manager lo ha fatto tesserare a una banda di motociclisti satanisti esperti in plagio e programmazione neurolinguistica mediante musicoterapia inversa). Mi sono preso un unica, meritata soddisfazione. Quando lo incontrate, provate a chiederli un autografo. State attenti a come gli scoppiano le pupille, quando gli porgete carta e penna. Guardategli le mani. La destra gli trema. La sinistra rimane immobile, come fosse di metallo. Non so in quale materiale sia realizzata quella protesi, però la sua mano originale la custodivo in un barattolo nascosto nella cappa del caminetto dove ora sono inchiodato a testa in giù, mentre un capellone sta accendendo il fuoco che mi consumerà la fronte, i denti, gli occhi. Pensavo di essermi preso la rivincita; non ho fatto bene i conti.
Hanno ingaggiato un roadie per suonare le sue parti di chitarra.
Non ha più bisogno delle mani.

Oggi Mamma è strana Mi ha portato qui anche se ho disobbedito, non ho fatto i compiti, non ho lavato i denti prima di andare a dormire, non ho mangiato le verdure, ho disegnato sulle scarpe della zia. Dentro c'erano gocce di un liquido bianco e vischioso . Zia ha detto che in quelle gocce c'erano milioni di bambini che mai nasceranno, e io ho riso per farle piacere ma non ho capito. Poi abbiamo giocato alle bambole. Cammino sui tacchi, mi accarezzo le gambe velate delle sue calze a rete. Non mi vergogno. In mezzo ai pantaloni sento muoversi qualcosa. Diventa più grosso. La zia mi ha spiegato che non serve solo per fare la pipì, mostrandomi cosa ci si può fare. Ha detto che sono il preferito dei suoi nipoti. Nessuno l'ha fatta sospirare come me. Io ridevo; i sospiri sono una cosa da fantasmi. È venuta la mamma, abbiamo giocato al dottore, la dottoressa e la passeggiatrice malata. Mi hanno fatto entrare un bastone nel buchino di dietro fin quando l'ho sentito in mezzo ai capezzoli. Non sono riuscito più a parlare. Tornati a casa, non riuscivo più a fare nulla. Non ho fatto i compiti, non ho mangiato a cena. Non riuscivo a stringere lo spazzolino per lavarmi i denti. Ero tutto un dolore. Stamattina siamo saliti in macchina. Guardavo senza capire, la sentivo parlare al telefono. Stava dicendo alla zia che dovevano andare alle elementari in piazza Garibaldi a prendere un altro nipote. Non sono mia madre e mia zia veri. Non importa, è stata la mia famiglia preferita. Mi ha comprato i popcorn e abbiamo visitato tutte le gabbie dello zoo, poi ha detto che doveva andare a fare delle compere, e mi ha lasciato col guardiano. Si è fatta notte. Non vengono a prendermi. Fa freddo, ho paura, il leone si sta svegliando, la gabbia è chiusa, l'uomo con la telecamera non risponde, come se non esistessi. I sospiri del fantasma. Non so se esisto fuori dalla mia testa. Le guance sanguinano, il naso è per terra. Leone mastica. Cameramen ride, strilla: “Con questo film ci pago tre mesi in costa azzurra”.

Sono andata da Jenny a farmi la manicure giapponese per apparire bella sui giornali. Sarò stupida? Fotografano le facce, non ai particolari. Lo faccio per me stessa. Non bisogna mai fare le cose per gli altri.
Non ne posso più. Ogni giorno se ne sente una diversa. La crisi economica. La ragazzina ammazzata dagli amici drogati. E le influenze. Le influenze. Come odio le influenze. Ogni anno porto i bambini dal pediatra per farsi le punture. Le medicine non funzionano, mi si ammalano ogni inverno. Non fa niente. Io sto più tranquilla. Anche i bambini stanno tranquilli. Sono buoni, fanno quello che gli dico senza ripetere due volte. Vedo i figli delle mie amiche e mi sento fortunata. Non si lavano le mani prima di pranzo. Non si lavano i denti. Luigi non si siede a tavola se prima non si lava nella pentola con acqua bollente e sale. Le maestre gli chiedono cosa hai fatto alle mani tutti i giorni e lui poverino è costretto a inventare scuse perché sono delle sceme, non capiscono niente. Non capiscono i germi, i batteri. Nel nostro corpo ci sono dei metalli. Le mani vanno lavate in acqua bollente col sale per non farle ossidare. Quando ci viene la febbre ci facciamo latte e miele all'eucalipto. Non sentiamo il sapore delle cose. Fa bene. Ogni tanto ci mettiamo a scoppiarci le bolle sulla lingua. Voglio un sacco di bene ai miei bambini. Non capisco perché quel bastardo del padre è scappato. Si lavava una volta al giorno, non si copriva mai d'estate poi diceva che ero io la matta. Voglio un sacco di bene ai miei bambini, per questo voglio ucciderli io prima che lo faccia l'H1N1. La televisione lo ha detto, è molto pericolosa. Li ho fatti vaccinare due volte quest'anno anche se le medicine non funzionano. I miei fragili bambini non subiranno un'altra maledetta influenza.
E prima la broncopolmonite, poi la salmonella, poi la Sars.
Hanno le vene nere.

I clienti non mi calcolano. Sono convinti che non valgo una cicca solo perché indossa una divisa scema e devo sempre essere cortese per contratto, anche coi maleducati. Una volta uno mi ha persino dato uno schiaffo e il direttore ha detto che me lo meritavo. Prima dello schiaffo mi ha sputato. Non l'ho fatto apposta. Ho premuto la leva per sbaglio, il traspallet con cui trasportavo una pedana d'acqua si è abbassato sopra il suo piede. No, non è vero. Se l'è meritato, mi stava dando fastidio. Non ho perso il lavoro per un pelo. Mi hanno tenuto perché il cliente non ha sporto denuncia. Ho lavorato gratis tre mesi per risarcire il tizio. “L'immagine dell'azienda prima di tutto”, ha detto il direttore quando mi stava spiegando che avrei dovuto risarcire il cliente per non farlo andare dai carabinieri e finire sui giornali insieme agli scandali degli altri. Sono sempre educato; ho perso la pazienza.
Sono andato all'asilo coi documenti falsi. Le maestre non hanno battuto ciglio. Forse anche le maestre sono dipendenti dalle pillole che danno ai mocciosi per il riposino pomeridiano. Mi sono recato nella corsia fai da te, ho scartato un taglierino giallo coi bordi neri e ci ho scuoiato il figlio del direttore. Manco uno strillo. Voglio tornare all'asilo per avere quelle medicine della pace. Quando ho sfilato la pelle dal corpo del bastardino mi sembrava di spellare un pomodoro bollito. “Svlllullush” ha fatto. La pelle l'ho infilzata sull'attaccapanni così non potrà più rimproverarmi per il troppo disordine. Ho fracassato i dentini poi li ho ammucchiati in un angolo con la scopa, pulendo tutto il sangue, così vedremo se potrà dirmi che questo posto è un porcile.
Mi siedo e aspetto. Il direttore non arriva. Vado a parlare con la capocassa, bianca come un merluzzo. Dice che è successa una tragedia. Il direttore e sua moglie sono stati falciati da un pirata della strada. Cado in ginocchio disperato.
Neanche stavolta il direttore mi dirà che sono stato bravo, anche se ce l'ho messa tutta.

Riappropriati del tuo denaro. Esigi i tuoi soldi. Li hai guadagnati. Ti spettano.
Rapina i barboni, non ti succede niente. Non frega un cazzo a nessuno. Come lo vorrei...
Non è del tutto vero che non importa a nessuno dei maledetti barboni. Sono gli spazzini della coscienza dei colpevoli. Chi non si sente in colpa oggigiorno? La gente vede i sudici barboni vomitare ai bordi della strada, pensa siano morti di fame sciagurati. È una cazzata. Per caso guadagnate 100, 150 euro al giorno? Loro sì. Gli basta trascinarsi di cesso in cesso, piangere, supplicare. Sono coperti di stracci per riaccendere antichi sentimenti sorpassati. Non esistono più. Potrebbero permettersi completi di Armani; sudici ma non fessi. “La prego, ho fame, ho dodici figli da mantenere”, dicono sempre. “Mangiati uno dei tuoi stronzetti”, gli grido a denti stretti mentre gli affondo il punteruolo nelle orecchie. Mi sbellico quando si contorcono raschiando il marciapiede con le unghie sporche di piscio e merda. Fanno un suono strano, ghhhhghhhh. Prima della “pesca a sorpresa” indosso due paia di guanti. I bastardi hanno di tutto nelle tasche. Una volta ci ho trovato un biscotto masticato. Devo stare attento. Tra loro è iniziata a circolare la leggenda dell'assassino di barboni. Tremano. Ma ci osservano. Sono come una tribù. Invece di unire i loro soldi, mettersi in società, aprire un'azienda, guadagnarsi da vivere onestamente, supplicano, supplicano e supplicano. Troppo comodo. Non leggono giornali. Parlano tra loro. Si sono preparati. Ieri ho fatto un giro nei pressi della stazione. Mi sono messo i guanti, ho rovistato. Non c'era niente in tasca di quel morto di fame. Solo una siringa gocciolante. Mi sono punto ma ho non ho smesso di racimolare la grana. Sono soldi della gente perbene. Io sono uno perbene. Mi spettano quei soldi. Mia figlia vuole un I-Pad. Non posso deluderla.

Ogni bernoccolo come un broccolo, diceva sempre la buon'anima di nonno. Il mio paese è l'unico a non essere cambiato. Il “progresso” come lo chiamano, è nostro nemico. Televisioni, tostapane elettrici, telefoni cellulari. Noi no. Ne andiamo fieri. Bisogna conservare, onorare, rispettare le tradizioni. Il passato è l'unica cosa che abbiamo. Noi viviamo nel passato, gli altri l'hanno svenduto e ora sono tutti pazzi. Campano d'aria bollita. Sono diventati lenti, grassi, stupidi. Li abbiamo mandati via a calci nel culo, quando sono venuti i ragazzi giacca e cravatta delle offerte telefoniche. Noi non ci pieghiamo. Noi rimaniamo fedeli a quello che siamo sempre stati.
Salloreto.
203 abitanti fino a domani, poi saremo 202. Nonna sta male da tanto tempo, è stufa di lottare. Sa di non potercela fare. Ha perso.
Abbiamo deciso insieme.
È ora.
Chi ci conosce si chiede come facciamo a vivere così. Così come? Loro non sanno, non vogliono sapere. La nostra è vera democrazia, ognuno ha diritto di voto, persino i bambini. Loro hanno poliziotti, magistrati, deputati, senatori, presidenti e sotto, sotto sotto c'è il popolo convinto di contare, di avere voce in capitolo. Qui abbiamo un sindaco simbolico. È sindaco, barbiere e ottimo panettiere. Il suo voto vale uno come il mio, come quello di tutti. Tenetevi la finta democrazia, l'ipocrisia. Noi ci incontriamo, ci salutiamo, ci abbracciamo. Siamo tutti fratelli. Voi vi trovate nel traffico, pieni d'odio e dello schifo che provate per le vostre esistenze, vi massacrate di botte come animali, siete divisi. Vi odiate e odiate. Ognuno invidia chi sta sopra. Qui non esiste la parola invidia, non c'è ne “sopra” ne “sotto”. Uguaglianza. L'uguaglianza non ha nessun prezzo. Basta capirla. Basta volerla. Viviamo felici. Prendiamo le decisioni insieme. Ci basta lavorare poche ore al giorno per produrre il necessario a vivere, poi possiamo fare quello che vogliamo, tutti insieme. Quelli fuori ci hanno emarginati, fingono che Salloreto non esista. Non c'è nemmeno sulla cartina, hanno pagato i cartografi per dimenticarci. Non vogliono che la gente sappia che esiste un posto dove io sono uguale a te e tutti siamo uguali sempre. Ai poteri alti non piace l'uguaglianza. Facciamo festa perché è una vita festosa perché ci rispettiamo. Non esistono leggi, non ce n'è bisogno. Niente furti, niente stupri, niente scazzottate. Ognuno ottiene ciò che vuole col consenso degli altri.
Siamo eccitati oggi. Stiamo preparando la festa d'addio per nonna. Il palo cerimoniale è stato cosparso d'olio per rendere più felice la festa. Ho parlato con la nonna. È felice. Non vede l'ora. Ha detto che è stanca di vivere, il corpo le sta dando tanta infelicità.
L'olio cola dal palo, mentre salami e prosciutti sono attaccati sulla vetta, aspettando di essere presi dal bambino più svelto. È un albero della cuccagna salloretese. Andate, andate sui dizionari. Che stupido, non ho tenuto conto del vostro amato progresso. Controllate sul vostro internet. Nessuno ne parla; esiste.
Legano la nonna al palo con una corda di iuta. Siamo tutti in fila, uno dietro l'altro. A turno ci scagliamo contro di lei cercando di darle una bella testata. I primi cinquanta mirano allo stomaco. Poi è tutta una caccia alla faccia. L'olio serve per farla spostare più agevolmente. Quando qualcuno va a sbattere contro il palo ridono tutti, persino la nonna. È una campionessa in questo gioco. Puro talento. Nessuno gioca all'albero della cuccagna salloretese più di una volta. Hai una sola occasione e non puoi aver fatto pratica. Ramaso Gugli è il primo a fare centro. Nonna dice che è stato bravo, mentre sputa l'arcata dentale superiore. Altre venti persone fanno cilecca. Barbero Saugli ci ha fatto sbellicare. È inciampato, ha sbattuto una tempia ed è rimasto paralizzato. Gli hanno dovuto asportare un occhio. Capita! Varendo Migli ha fatto una finta pazzesca stupendo la nonna, quando le ha spezzato il collo con una testata montante. È una tecnica che solo pochi sanno mettere a punto di velocissima esecuzione. Quando colpite la gola dovete essere svelti a sfruttare la velocità dell'azione, alzare di scatto la testa in modo da colpire il mento come se fosse un gancio. Un colpo del genere disintegra la mandibola, spacca la carotide. Quando la festeggiata muore iniziamo coi salloretini. Bisogna maciullare il corpo a bastonate. Ci vogliono ore, accartocciare le ossa richiede molto tempo. Nel momento in cui il cadavere ha raggiunto le dimensioni di uno straccio da cucina il sindaco lo fa strusciare lungo tutto il palo per renderlo nuovamente oleoso. A questo punto i bambini si arrampicano per prendere i premi. Si strattonano, si prendono a pugni, si tirano i capelli. Qualcuno cade e si ferisce gravemente. Può scegliere se continuare a vivere o diventare il festeggiato della settimana dopo.
Amiamo il nostro paese, le nostre tradizioni e non ci importa degli altri. Quando non ci sarà più nessuno, Salloreto smetterà di esistere perché Salloreto esiste solo per noi. Il sindaco, nostro amato padre, ci ama a sua volta. Qui tutti sono suoi figli carnali e, a differenza di voi fuori, ci vuole bene per davvero.
Voi odiate i vostri figli, li obbligate a fare quello che volete come dei cagnolini scemi.
Lui ci rispetta.
È anziano, non può più fare figli e ne soffre moltissimo. Ci ha proibito di accoppiarci tra di noi. Siamo lo stesso felici. È il suo sogno. Lui l'ha creato, lui è l'unico ad avere il diritto di scegliere di distruggerlo.

Nessun commento: