… nel
frattempo è successo un mare di cose.
Mi sento
ancora scosso come le onde dell'ocean... dell'acquario.
Perché
essere epici?
“COME LE
ONDE DELL'OCEANO!!!!”.
Ma
vaffanculo la grandezza.
Uno degli
errori che faccio continuamente – quando scrivo – è enfatizzare
al 100% tutte le cose che dico. Uso una marea (scusate il giochetto
acquaceo) di aggettivi per descrivere questo e quell'altro. Ma
perché?
PPPPeeerrché?
Eppure, di
cose ne sono successe.
Probabilmente
la mia aspettativa è sempre grande, allora enfatizzo, amplifico,
ingigantizzo, elevo alla nona - forse per compensare il fatto che a
conti fatti mi sento sempre quello di prima, quando invece dovrei
sentirmi “cambiato”.
Le
percezioni umane sono quanto di più ingannabile esista, e io lo sto
provando in prima persona. Potete farlo anche voi: vi basta osservare
le vostre dinamiche mentali senza prendervi parte (cioè senza
pronosticare, giudicare, ipotizzare, supporre ecc.).
La settimana
scorsa ho vissuto 2 giorni intensi.
Venerdì ho
preso il mio bel trolley con dentro una coperta (?), una ciotola per
l'insalata (…?) uno sgabello (… sei andato a farti le seghe in
montagna?) e un amplificatorino Roland a pile (te la fai anche con
gli strumenti musicali?) e son salito sul treno per Milano.
M'ero
portato l'ultimo romanzo di Stephen King (“Joyland”; consigliato)
anche se sapevo che non lo avrei letto, perché quando vado in treno
riesco a concentrarmi meno che mai. E poi in quella specifica
occasione il tiro era molto alto.
All'inizio
nello scompartimento c'eravamo io e una ragazza che stava leggendo
“Vanity Fair”. Dallo sguardo calmo, posato, intelligente, ho
capito che a) non dovevo giudicarla dalle sue letture b) era solo un
caso che avesse in mano un giornale così, perché c) due occhi così
anche in giornaletto idiota del genere (“La fiera delle vanità”...
cristo...) riusciranno a trovare qualcosa che i lettori abituali non
colgono. È un abilità che ho anch'io, trovare milligrammi di
cioccolata tra giga tonnellate di merda.
Ci siamo
sparati da Peschiera del Garda a Brescia in reciproca/finta
indifferenza. Ogni tanto lei guardava me, e viceversa. Nulla di
sessuale (da parte mia). È normale che prima o poi gli occhi si
posino su un essere umano che ti si è seduto a neanche un metro dal
grugno.
Quando siamo
arrivati alla stazione di Brescia ho visto che stava per salire un
fottio di gente, mi sono allarmato, non volevo nessuno tra le palle;
il sedile di fronte e quello alla mia destra erano liberi. Spazio
vitale. Se arrivava qualcuno era un casino. Avevo tra le palle
(letteralmente) la chitarra (che prima mi sono scordato di
menzionare, dando per scontato che tutto il mondo faccia
l'associazione *amplificatorino = chitarra acustica) e il piccolo
recinto sarebbe diventato ancora più stretto.
Se ciò che
è successo – fino all'anno scorso - mi avrebbe fatto piacere,
quest'anno N-O.
Arrivano 3
fighe stratosferiche (le avevo già notate tra la bolgia; iper
appariscenti, le signorine).
Si siedono
rispettivamente alla mia destra, di fronte e l'altra un po' più in
là sul lato del finestrino opposto a dove ci sono io, che mi sono
fatto piccolo piccolo per permettere alla signorina di allungare i
piedini senza che la chitarra interferisca con le sue ovaie.
Partiamo.
Le pollastre
indossano oscuri occhiali rigorosamente oscurati che le anonimizzano
¾ della parte superiore del viso. Praticamente si vedono bocca,
mento e un pochino di guance (non che sia tutto questo peccato, visto
che, a quanto pare, sono di quegli esserini [tipo me] che da tanto
hanno divorziato col sorriso).
Scambiano
quattro chiacchiere sul caldo, sulla crisi economica, sull'assurdità
di certe leggi (“Il dentista dice che per legge mi devo cambiare i
guanti ogni volta che c'è un paziente, e che mi devo sempre lavare
le mani, ma io non posso cambiare i guanti, lavarmi le mani cento
volte al giorno” [cosa siamo, un paese di cariatidi?!?!? Cento
volte al giorno = 100 clienti al giorno; una nazione di carie con
dentisti miliardari]), infine parlano se sia il caso di rifarsi le
unghie. Quella di fronte dice che lei, puntuale, se le fa ogni volta
che va in vacanza, che le tiene due settimane poi le toglie, perché
a lavoro sono scomode e non sono igieniche.
Una tira
fuori il telefono. Le altre la imitano.
Si son fatte
Brescia/Milano messaggiando con persone altrove.
Ognuna
poteva contare su 2, ben due interlocutori presenti lì fisicamente,
eppure hanno preferito dialogare per iscritto con chi non era lì con
noi, stipato come sardine o.g.m. in sedili zozzi e malconci.
Piuttosto
che farmi il mio bel monologone accusatorio sull'alienazione,
l'inconsapevole sudditanza psicologica predominante nell'attuale
dittatura tecnocratica e minchiate varie, ho preferito concentrarmi
sul panorama fuori dall'oblò (niente male), cercando di non pensare
troppo a che pezzi suonare (non mi sono preparato la scaletta).
Arriviamo a
Milano, un putiferio di anime in ritardo, in fuga. Incazzate. Rimango
incantato. Mi sembra di essere il personaggio di un videogame della
Playstation3 difettoso in cui le persone si muovono a velocità x4
mentre io sono a x1,3 (non fossi stato agitato avrei detto x1).
La stazione
è mastodontica. E massonica: simboli astrologici ed esoterici
ovunque, persino una statua di Bacco e una di Prometeo, incastonata
in alto.
Sono sulla
scala mobile, e sono l'unico a guardare in alto anziché dritto col
paraocchi per estraniare i lati.
Due tossiche
vistose (una si sta facendo Crest; cazzo, come me ne berrei una
anch'io, con tutto 'sto caldo), parlano di come sia stato “stronzo
il figlio di puttana che le ha messo le mani addosso e gli sbirri non
hanno detto un cazzo, cioè, no, ma ti pare?, sbirri bastardi”.
Ora mi sento
a casa. Tra laureati a Oxford in “buone maniere” come me sento il
profumo di caminetti, di minestrone, di serate in famiglia
Prendo la
Metro per un soffio e in due soffi sono a piazza Duomo.
Salgo le
scale dopo la scritta Exit sapendo lo spettacolo che troverò (c'ero
già venuto una volta da bambino). Mi sembra quella bellissima scena
a rallenti de “Il Gladiatore”, quando Commodo pugnala Rasselcrò
prima del combattimento finale, poi l'elevatore li porta dal
sottosuolo alla superficie, bombardata da un sole oscenamente
picchiante.
Il Duomo:
imponente costruzione secolare, frutto di una scuola architettonica
virtuosa caratterizzata arazzi, ghirigori di maestosità e...
Sì,
vabbene, nce ne frega 'ncazzo.
Aò, io devo
suonà e non so manco dove mi devo mettere, figurati se mo mi metto a
contemplare la bellezza di 'sta minchia.
… ciò che
si chiama “egoismo ansiogeno architettonico”.
Il comune di
Milano mi ha accordato il permesso (che ho dovuto implorare un mese
fa, sennò col cazzo che potevo suonare su un “suolo pubblico” di
proprietà di privati ed s.p.a.) in cui c'è scritto che posso
esibirmi dalle ore 17 alle 20 nella postazione C3.
C3?
Ok, pensai,
quando arriverò a Milano capirò dov'è/com'è fatta una postazione
C3. Magari ci sono posticini strategici evidenziati, recitanti,
delimitati da strisce colorate come nei parcheggi numerati, e quando
leggerò C3 dirò “Sì, ecco, questo è il mio C3”.
Col cazzo.
Ho tentato
di chiedere informazioni a un ritrattista giapponese. L'espressione
zen con cui stava pennellando mi ha fatto desistere.
Ho chiesto a
dei mastini ipertrofici stipati in un furgone.
Hanno detto
che la postazione era ubicata dalla parte opposta.
Dalla parte
opposta c'è una camionetta di carabinieri inquietantissima. Mi
avvicino, parlo all'autista. Dalla reazione è come se parlassi una
lingua arcaica e schifosa. Aggrotta la frotne. – Chiedi al collega.
- Circumnavigo la camionetta verso il collega, che mi dice che è là,
sotto i portici, in direzione della statua.
Monto
l'attrezzaturina a 3 metri dall'ingresso della libreria Mondadori,
dentro la quale entreranno si e no cinque, sei persone durante le 3
ore di permanenza.
Mi faccio
una biretta nell'attiguo bar gestito indiani. Quello dietro al
bancone parlava nasale e squillante, come se gli avessero strappato
le palle con una tenaglia, in senso di devozione a una divinità
sadica.
Mancano 30
minuti all'ora X.
E io
comincio lo stesso; male che va mi scassano le palle.
Decido di
iniziare con un mio arrangiamento (in fingerstyle) di “Eye in the
sky” di Alan Parson, poi un altro arrangiamento di “Mamma Mia”
degli Abba, poi parto con un po' di improvvisazioni arpeggiate,
cercando di tradurre lo spirito del Duomo in suono.
Un uomo
poggiato sulla colonna alle mie spalle da un quarto d'ora. “Sbirro
in borghese?”, penso mentre lo scruto scrutarmi. Si rivelerà
l'unico in tutta piazza Duomo che mi ha degnato di considerazione.
Apprezza il mio lavoro al punto da farmi scivolare 0,50 centesimi
(due pezzi da venti, uno da dieci) nella ciotolina dell'insalata che
ho deciso di usare al posto del comune cappello.
Saranno gli
unici soldi della giornata.
Suono suono;
forse non risuono. Mi passano di fronte come se non esistessi, come
se non ci fosse nessuno seduto, con una chitarra in mano,
praticamente in mezzo alla strada.
Alle 19:45
mi sono già bello che rotto i coglioni; non mi si incula nessuno.
Non ero
felice ma non potevo nemmeno lamentarmi, conscio di aver suonato
benissimo con grandissima disinvoltura.
Metro,
stazione, corsa al binario 11.
Ce l'ho
fatta per un pelo.
Arrivo a
casa che sono distrutto, maciullato, come se avessi scalato tre
montagne coi pesi nelle scarpe.
Mangio,
cazzeggio, poi vado a nanna.
Mi sveglio
alle 6:30.
Doccia,
vestizione, preparazione.
Entro in
macchina, corro a casa di Simona.
Dove stavamo
andando?
Be', se uno
va a suonare in piazza Duomo, in mezzo alla totale indifferenza, dove
può andare qualche ora dopo?
Ma a Garda,
in un hotel dove Gurunath terrà un seminario sul krya yoga che
durerà fino alle 20:45.
L'esperienza
meriterebbe un saggio a sé.
Quanto
vissuto in 12 ore andrebbe divulgato.
Per chi
fosse interessato, consiglio di vivere l'esperienza in prima persona.
Sono di
quelle cose che ti cambiano la vita che neanche il più grande
scrittore potrebbe anche solo suggerire.
Un piccolo
appunto: il krya yoga non è uno stile di yoga contorsionistico tipo
quelli che siamo abituati a vedere in tv.
Si fa da
seduti, respirando.
È una
meditazione basata sul respirare attraverso i chackra e la colonna
vertebrale, lungi dal toccarsi la punta degli alluci con la lingua.
Gurunath
è... cosa “non” è!
Vi dico
soltanto, a voi, utenti del web invaso da complotti, alieni, maghi,
stregoni e roba varia.
Vi sarà mai
capitato, almeno una volta, di leggere del fenomeno dello “Shape
shifting”, no?
Quel
fenomeno (imputato ai “rettiliani”) che consiste nel “Cambio di
forma” di una persona.
Ci sono
tanti filmati della regina d'Inghilterra, di giornalisti, di
personaggi dello spettacolo che cambiano faccia, cambiano forma.
Modificare
un filmato è roba da niente.
Io quella
roba l'ho vista dal vivo, sabato, insieme ad altre 60 persone.
Il maestro
ha detto: - Adesso vedrete quello che sono.
Con questi
occhi ho visto un uomo - seduto a tre metri da me - diventare
Leonardo da Vinci, Attila, Mosé, un leviatano, Pierino/Alvaro Vitali
con tanto di berretto (non sto scherzando, anche se dire una cosa
simile vi da il diritto di mandarmi affanculo in questo e nell'altro
continente), poi una figura indistinta fatta di luce accecante che
vibrava e abbagliava, come se avessero messo una forchetta bagnata
dentro un forno a microonde.
È durato
circa 5 minuti.
Io non ci
capivo più un cazzo, nemmeno gli altri.
Una ragazza
è scappata dalla sala a gambe levate. Quando è tornata il maestro
le ha chiesto se era appena arrivata. Ha risposto che lei è una
molto scettica, razionale, scientifica.
Era uscita
perché non voleva disturbarci coi singhiozzi.
Con le sue
lacrime.
E la
capisco.
A parte
questo presunto “gioco di prestigio” (fin quando non lo vedrete
coi vostri occhi dubito che possiate crederci; non ci avrei creduto
nemmeno io) che mi ha portato a rimettere in discussione tutto quello
che fino a quel momento credevo “vero”, “reale”, il krya yoga
è una forma di meditazione eccezionale.
E non
preoccupatevi; anche se inizierete a praticare il krya yoga potrete
tenervi le vostre belle facce di merda.
Non
diventerete Alvaro Vitali.
Promesso.
Bene.
Ora posso
tornare alla mia routine.
Devo andare
a pagare le bollette.
Ci si legge
settimana prossima.
O anche no.
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