lunedì 21 novembre 2011

EYES WIDE VENICE







Accedere a word è impossibile, davvero un software del cazzo.
Non dovrei iniziare un post con un giudizio, tantomeno con la fottuta negazione all’inizio di questo periodo sintattico.

Villafranca, posto idelae per invecchiare, per rimanerci, in tutti i sensi.
Favorisce un certo tipo di meditazione motoria (si può fare camminando).

L’altro ieri siamo andati a Venzia.

Gran posto, soprattutto per pagare le cose.
25€ per il privilegio di posteggiare la macchina la dice lunga sul metro di giudizio applicabile ai tutt’altro che ridenti indigeni autoctoni della zona.
In compenso c’è.
L’acqua c’è, quanta cazzo ne vuoi.
La paghi, in vari modi.
Però c’è.

Venezia è una gran città perché ci sono tanti negozi.
Vuoi fare shopping all’aperto perché non hai voglia di rinchiuderti in un centro commerciale?
Tolto il fatto che il mondo è diventato uno stramegaiper centro commerciale all’aperto (per come lo percepiamo noi ottimisti), è davvero come diceva il compianto Bill Hicks: IL MONDO E’ IL TERZO CEN TRO COMMERCIALE DAL SOLE.

Atmosfera è mooolto suggestiva; se guardi ad altezza uomo vedi negozi, cinesi, vie e maschere. Poco poco alzi gli occhi – e te lo concendi – sei catapultato ad almeno 300 anni addddietro.
La bellezza fondamentale di Venezia risiede in una alzata di sguardo, la metafora del perché ci siamo incarnati ora, qui, in questo corpo/veicolo per vivere l’esperienza che chiamiamo “vita”.

All’inizio non puoi non rimanere affascinato et conquistato dalle centinaia di maschere che dolce prepotentemente invadono tutto il campo visivo (181° se non sbaglio).
La vera magia avviene quando non ci fai più caso perché ne hai i coglioni pieni.
Come tutte le cose, è bello per un po’, poi basta, echeccazzo.

Buttandola sulle psicopippe direi: quando non guardi più le maschere, o credi di non vederle più, esse iniziano ad agire sull’inconscio.
Cioè su te.

Siamo abili, semi consapevoli travestimenti.
Chiamiamola maschera, chiamiamolo ego, non cambia niente.
Perennemente mascherati (con gusto, e CHE gusto).
Giriamo, facciamo, diciamo, sperimentiamo, blabla blabla blabla.
L’esperienza è filtrata attraverso i buchi degli occhi, eppure pensiamo E’ COSI’!

A volte ce lo ricordiamo ma… anche il ricordo viene filtrato tra gli spazi di plastica.

Camminare per le strade di Venezia è un promemoria fisico, diretto, semi palese del senso della vita.

Quando credi di non vedere più maschere in realtà le stai guardando, solo che ti illudi di non volerle più guardare, perché le hai già viste, perché sono tutte uguali.
In realtà sono lì, ti guardano.
E le vedi.
Porca troia se le vedi

Ogni angolo, ogni anfratto, un promemoria simbolico diretto.

I simboli hanno il potere di parlare DIRETTAMENTE all’inconscio. L’inconscio è la modalità mentale che ha il sopravvento, sebbene crediamo che sia la mente conscia a fare tutto il lavoro.

Bella illusione nell’illusione.

Venezia è un continuo dialogo diretto con te stesso…
Ance se credi di non accorgertene.
Anche se credi che comprare, bere, guardare, camminare distolga l’attenzione da un fondamentale discorso.
Compra, cammina, osserva, illuditi di rimanere nel “conscio”.
L’inconscio prende il sopravvento, ha tutto il potere di vibrare a ruota libera e, anche se fai quel che fai, fidati che non sei mai sto più conscio di sognare di adesso, che cammini per ponti, nebbia, turisti, canali.

Le voci unite formano un gran boato.
Il boato è il metro di giudizio che hai di te stesso.
Confusionario?
Proprio ciò che pensi di te stesso.
Un ampio specchio.
A cielo aperto.
Tu sei quello.
Io sono quello.
E quando toglieremo il velo della “separazione” (io sono, tu sei, egli è, noi siamo, voi siete, essi sono) tutto apparirà com’è: il NON essere.

Venezia è pura illusione, come il resto.
Soltanto che è più facile percepirlo, tra un gondoliere, una bestemmia e un negozio di maschere.

Le maschere ti fissano e parlano.
“Guardami, non sono qui, sono una proiezione. Mi vedi sullo scaffale, sull’espositore… ma sono sul tuo viso. IO SONO TE”.

N.d.r. A Venezia ho bevuto ma non stavo sotto cartone, seppur è stato un trip.
Ora che mi sono giustificato, ricomincio quest’altro trip, mentre scrivo sul cesso di casa.
Tavoletta e coperchio abbassati.
… la curiosità di sprofondare mentre tiro l’acqua è tanta.

Per chi legge le mie intriganti cazzatelle, è palese che uno dei miei 409.853. film preferiti (li ho contati) è Eyes Wide Shut.
Immaginate quante volte rivedevo/rivivevo fotogrammi di quel film, un passo dopo l’altro.
Da buon essere socializzato, dotato di inconscio formato prevalentemente da film celluloidei era impossibile non avere davanti le massoniche, rituali scene di quel cazzo di pellicolone.

Io tu egli, noi voi essi, percepiti esterni, incorporei, artificiali, a guardare io tu egli, noi voi essi, dal basso di uno scaffale, dall’alto di un piedistallo.
Una metafora post moderna dell’ego: “io” che mi guardo attraverso me stesso percepito esterno, anche se lo so.
Anche se non so.
Anche se non c’è niente da sapere.
Anche se lo sai.
Anche se non te ne importa.
… ma anche no.
Venezia è la città esotica per eccellenza; il 90% degli asiatici presenti sul pianeta terra vive e lavora a Venezia.
O gestiscono un locale (subire PASSIVO) o vi lavorano (subire ATTIVO).
Il cliente assapora ciò più o meno consapevolmente.
A discrezione dell’usufruitore!
Per quel che significa.

… non significa niente?
La tua vita sì!
Guarda un po’ che presuntuosetti!!!

L’abbondante uso di punti esclamativi è dovuto al fatto che devo sempre, comunque giustificarmi.
Perché non ho le palle di ammettere che sopra al cesso si sta fottutamente bene, anche se non ho le braghe calate.
Sto facendo un uso sconsiderato dell’invenzione comunemente chiamata WC (in realtà, se voglio usare correttamente l’aggettivo “comunemente” dovrei parlare di “cesso” o al limite “luamàr” per rimanere nel circoscritto campo semantico veneto… dipende da quanto sia sporco l’ambiente; per chi non lo sapesse, “Luamàr” significa “Letamaio” in cirillico).

Il cirillico è la lingua di quale popolo?
So un sacco di paroloni nel senso che conosco pronuncia e ortografia ma, all’atto pratico non pratico.
Il buddismo fai da te lo lascio agli schiavi della soka gakkai.
DAMMIOOILRECCHION, DAMMIOOILRECCHION.
Ripetilo cento volte.
E vincerai il premio.
Chiamasi “iperventilazione”.

Un altro parolone che conosco senza saperlo.
Il gioiello della cultura appena pre internet.
La rosa purpurea del Cazzo.

Cammini, ti ritrovi in un vicolo e non puoi proseguire.
Perché c’è l’acqua.
E ci godi.
UAUU, SONO A VENEZIA: DOV’E’ CHE C’E’ IL VETRO?
Devo andare a Murano.
Mur-ano: un muro di culo.
Un muro nel culo.
E c’era tanto di chiesa con piramide con l’occhio che tutto vede.

Gli elementi fondamentali sono TERRA, FUOCO, ARIA, BANCOMAT.
Venezia rappresenta l’acqua, ciò di cui sei fatto al 70%.
Non so se la percentuale è giusta, la scienza ufficiale sostiene che siamo fatti al 70% di acqua.
Venezia è lo specchio nello specchio e il tuo corpo riconosce l’abbondanza di questo elemento riproposto “esternamente”.
Metteteci che era freddo, avevo le mani ghiacciate, sono entrato in un bar, poi in un altro, ero a Venezia ed ero composto al 70% di Vodka, Ceres e Kilkenny (astutamente ne ho ordinata una in due ma l’ho bevuta quasi tutta una in uno).
Non abbiamo nemmeno pagato le patatine al pomodoro, così imparano ad avere cento gusti di patatine tutti alla carne, tipo pollo e limone.

Io sono vegetariano; se mangio la carne Ehret mi si incula.
Sai che dolori?!
No, no, no, non si fa.
E non devi lasciarti fare.
È la sacra legge mistica del culo.

Il nocciolo del discorso è ANDATE A VENEZIA.
Vi consiglio di prendere il treno perché i parcheggi costano come l’affitto mensile di un appartamento al centro di suddetta città.

Suggestioni, simboli, dialoghi diretti col sé, masturbazioni dell’ego a go go.
Venezia è questo e altro.
Un tuffo nel passato che non esiste.

Ad un certo punto ho persino avuto la presunzione di escogitare l’artificioso stratagemma del convincermi di percepire un Deja vu secondo il quale la camminata che stavo facendo l’avevo già fatta circa 300 anni prima, nello stesso posto, sulla stessa strada dove stavo camminando quando ho avuto l’impudente bisogno di escogitare l’artificioso stratagemma grazie al quale mi sono convinto di percepire il Deja Vu, un termine che conosco anche se non so un cazzo di francese.

… perché, i francesi sanno qualcosa del francese?
Presunzione.
Come fai a sapere qualcosa riguardo qualcosa che non c’è?

Non c’è nessun liffuori.
Non c’è nessun io, tu egli noi voi essi.
Non c’è nessun LORO.
Il “c’è” c’è perché ci siamo auto educati affinché esista, così da poterlo percepire e…

No.
Basta dare perle ai porci.
Questo giro mi illumino.
Giuro.
Non posso tornare un'altra volta su questo cazzo di pianeta, mi sono anche rotto i coglioni.
Basta.

Mi aiutate?
Se volete che Andrea si illumini questo giro, telefonate al numero in sovrimpressione o mandate un sms al numero 5432/5435343464.
Vota e vinci.
In palio prendo quello che ha preso quell’altro.

… ci sono ricascato.

Nessun commento: