lunedì 10 dicembre 2012

ARRIVEDERCI L'ANIMA


AVVISO AI SIGNORI LETTORI.
Consiglio un bel copiaincolla su word. Leggere tutta 'sta fuffa con lo sfondo nero è straziante.


La cosa più preziosa che mi ha lasciato la scuola è l’aver imparato a dire cazzate di serie A.
Prima di entrare in questa sala d’attesa dove si preparano gli operosi, ubbidienti lavoratori di domani, avevo già sviluppato un discreto talento nel raccontar bugie, tanto che nel mio primo romanzo gli dedicai un piccolo saggio in cui illustravo lo schema che bisogna seguire per essere creduti sempre e comunque durante un botta e risposta con l’autorità.

Il fulcro su cui poggia una balla raccontata come si deve – che comporta 1) Ricevere consensi 2) Passarla liscia – è la particolarità dei dettagli con cui la si modella, definendola microscopicamente.

Per venire creduti bisogna non è importante mettere tanta carne sul fuoco, ma fare una descrizione sentita e minuziosa del fumo esalato dalla fiamma che la sta riscaldando. Se basate il discorso sulla ‘carne’ – che è da intendersi metaforicamente e letteralmente, in quanto è la tua ciccia che sta bruciando per il senso di colpa, perché ci piaccia o meno, quando si racconta una balla a qualcuno in realtà si sta mentendo a noi stessi, e ciò non fa piacere a nessun essere umano – fallirete, anche se l’interlocutore è un credulone ignorante bonaccione.

Bisogna scavare nel cuore della cazzata, facendo partire le vostre argomentazioni da un piano ‘intermezzo’. Rimanendo in ambito scolastico, un esempio pratico potrebbe essere il seguente.

Non avete fatto i compiti, niente giustificazione sul diario, e dovete dirlo alla professoressa che ha già preso il registro per mettervi la nota.

Se volete cavarvela col celebre – quanto abusato – ‘Non ho potuto fare i compiti perché me li ha mangiati il cane’, non potrete presentarvi al ricevente con questa frase così come l’ho scritta – che tra l’altro, negli anni è stata divulgata al punto da essere di per sé una battuta/frase-fatta/clichè smontante qualsiasi forma di credibilità ancor prima che gettiate le basi sulle quali ergere la vostra versione ufficiale dell’11 Settembre (restando in tema di grosse, grossissime cazzate) - , prima dovete lavorarci su.

Un buon inizio potrebbe essere descrivere le emozioni che provavate fissando inorriditi la saliva del cane, talmente arrabbiato, affamato, che per un attimo avete avuto paura di vivere in una casa protetta da una bestia simile, che pensavate di conoscere, e che adesso non mettereste più la mano sul fuoco riguardo quella che credevate fosse un inconfutabile massima, "Il cane è il migliore amico dell’uomo", perché l’esperienza si è rivelata una grande lezione sul fatto che non ci si può fidare di nessuno, tantomeno di una creatura appartenente a una specie diversa, sebbene possa sembrare vagamente razzista, e sebbene ci abbiano insegnato che sin dalla notte dei tempi il rapporto cinofilo di cooperazione antropologico canina ha prodotto cambiamenti, a livello umorale – e su questo ‘umorale’ inserire, se ve la sentite, un breve appunto su una fantomatica cugina guarita dalla depressione grazie alla pet terapy – e morfologico nell’antroposfera, dai tempi delle società matriarcali sino ai fallocratici giorni nostri.

Di fronte a un simile banchetto di novelle cuisine postmoderno-avant pop la professoressa potrebbe persino scordarsi perché gli avete sparato tutto ‘sto pippotto, magari premiare il vostro spirito d’osservazione, elogiare l’opportunità che ha comportato non aver potuto fare i compiti in quanto, più che un incidente, il fatto si sia rivelato un pretesto dal quale avete tratto un importante lezione di vita – mero traguardo che alcuni professori sono convinti di poter impartire passando attraverso quel luogo d’indottrinamento sociale , cardine del sistema, che è l’istituzione scolastica.

L’altra ‘cazzata madre’ che altresì gode di fama satirico fallimentare, brillante di cinematografico splendore pierinesco è "Professorè, non ho fatto i compiti… s’è morta nonna".

Per raccontare quest’altra cazzata si può usare uno schema simile a quello presentato sopra, sostituendo la saliva del cane con la straziante visione del corpo senza vita di quell’imprescindibile figura familiare che si è rivelata, col tempo e l’esperienza, il prototipo di genitore ideale, privo di difetti, che vi passava le caramelle sottobanco, quand’eravate in castigo, che prendeva le vostre difese, anche se naufragavate in una tempesta di torto marcio, quando stavate litigando coi genitori, sbizzarrendovi su dettagli toccanti; se vi giocate bene la carta ‘mimica facciale’ riuscendo a produrre un espressione coriaceo costernata, potrete pescare tra bizzeffe di teneri aneddoti autobiografici – o di fantasia – , al centro dei quali voi piccini, che ancora non vi reggete bene in piedi, infagottati tra le mani di lei che vi tiene in braccio, il sapore gentile di quelle Rossana alla cannella, tornando spesso sulla figura tenera della nonna - sembra ieri, avete la sensazione che sia ancora lì, dietro i fornelli, preparando il sugo per gli gnocchi fatti a mano, con tanto amore, dalle cinque della mattina, col solo scopo di riunire la famiglia, passare una bellissima domenica come si faceva una volta (con la maggior parte delle persone funziona alla grande denigrare il presente, lamentarsi di quanto tutto faccia schifo, ed elogiare il passato, urlare a gran voce quanto si stava meglio ai bei vecchi tempi).

Il movente di questo post puntuale – ultimamente non pubblico più con la precisione di un orologio spaziale, ogni lunedì mattina – è che per la prima volta mi trovo a poter usufruire della seconda balla senza dover sfoderare l’espressione coriacea, tantomeno far leva sui dettagli teneri da fiction di Canale5, perché d’ora in poi, quando non potrò consegnare i compiti e dovrò raccontare che non li ho potuti fare perché nonna è morta – tolto il fattore spaziotemporale – dirò la verità.

Sabato mattina nonna è morta. Per sua sfortuna non era dietro i fornelli a fare gli gnocchi, ma sdraiata su un letto di ospedale, mentre un tubo le drenava i reni.

Era morta da tempo, anche se ogni volta che l’andavo a trovare era imbalsamata sul tavolo della cucina, fumando Philip Morris One una dietro l’altra, mentre Rita dalla Chiesa le insegnava cos’è bene, cos’è sbagliato, cosa comprare e quando uscirà l’ultimo libro di ricette di Suor Germana – che porca puttana continuano a pubblicarla nonostante si sia tolta dalle palle 1000 piatti di spaghetti fa, quando a me a momenti non m’hanno pubblicato manco il certificato di nascita, figurarsi il romanzo o i racconti.

Ma questa è un'altra trista novella. Non ho niente contro Suor Germana, tantomeno con Antonella Clerici, Benedetta Parodi o Lorella Cuccarini – ebbene sì, anche lei si è data alla narrativa gastronomica – anche perché, se devo essere sincero, queste ultime rappresenterebbero 2 tipologie di donne dalle quali mi farei cucinare qualsiasi cosa in qualsiasi momento.

Tolto questo appunto sul mio orientamento sessuale che potrebbe sembrare fuori luogo, visto che stavo parlando di mia nonna che non potrà più gustarsi il deretano danzante della Parodi che cucina lasagne che nessuno mai potrà mangiare (almeno, fin quando non commercializzeranno la Televisione Odorosa di cui parla Huxley in ‘Brave New World’), sto cercando di rielaborare un lutto servendomi del canale scrittura.

Parlo di elaborare il lutto perché, se da una parte la cosa mi toccato, dall’altra sono felice. ‘Felice’ è inappropriato, ma rende vagamente l’idea.

Ho imparato che tutti gli esseri umani, persino quelli freddi, calcolatori, cinici e spietati come me, provano le emozioni allo stesso identico modo. ‘Provano’ in senso fisico. Tutto avviene nella pancia, sottoforma di rivelatori brontolii.

Quando mamma ha chiamato per darmi la notizia, e l’ho sentita piangere, prima che iniziasse a parlare ho staccato la spina al cervello, isolato il canale uditivo, e mi sono concentrato sulla pancia, perché sapevo che rimanendo sul piano intellettuale mi sarei raccontato un mare di cazzate, tutte quante vere e dettagliate come la minchiata del cane compito fago e avrei detto NO a un istante di verità. Non avevo bisogno di sentirmelo dire letteralmente, avevo intuito il messaggio, e necessitavo di rimanere a digiuno di solipsismi giustificatori*.

TEMPORANEE NOTE A PIE’ DI PAGINA (SCHIAFFATE QUI PERCHE’ SOTTO NON RENDONO)

*DEFINIZIONE DI SOLIPSISMO GIUSTIFICATORIO ‘Discorso solitario, orale o mentale, avente come fine la giustificazione autoreferenziale** di chi parla o pensa’.

**ECCONE UN ESEMPIO PRATICO: ‘Nonna si era stufata di vivere almeno sei anni fa. (semi)viveva una vita del cazzo, costellata di dolore fisico e morale. Era frustrata, demotivata, stanca. Passava TUTTE, TUTTE le giornate ipnotizzata da antidolorifici e da una scatola crea mostri spara stronzate, guardando figure moventi senza capirne il senso – come se esista un implicito significato nelle cause (pseudo) giuridiche che si svolgono negli studi televisivi, adibiti a falso tribunale, in cui vengono preregistrate le puntate di Forum, in cui attori da 2 soldi recitano il ruolo di poveracci al centro di una vita altrettanto miserrima al punto da trascinarsi di fronte a milioni di persone per spiattellargli in faccia i propri cazzi (e poi, quando sono a casa loro, e litigano coi familiari, ripetono ogni tre secondi, - Non urlare che ci sentono i vicini) – fumando sigarette che spegneva a metà perché il blocco artico di catarro nei polmoni la faceva respirare come una betoniera colma di cemento, catrame, monossido di carbonio e quant’altro andava ad aggiungere benzina sul fuoco che le logorava le gambe, chirurgicamente aperte e farcite 4 volte, piene di metallo a un livello che il T1000 di Terminator2 e lo stronzone di Robocop gli potevano fare 6 pippe a 12 mani cibernetiche.

FINITE LE NOTE.

Con tutte queste stronzate pigiate nel cranio, come avrei potuto elaborare il lutto – dato che sembra più l’elaborazione di un criptico racconto labirintico sperimentale noioso?!

Le emozioni vanno vissute, non ragionate.

L’elaborazione di sabato e ieri è stata di natura fisica. Sono stato attento a come mi sentivo, cosa provavo, come mi sembravano le cose che facevo – con, stipate di fronte agli occhi mentali, due sue fotografie, speditemi via MMS da mia cugina.

L’attuale post è servito a favorire un elaborazione ‘ai piani superiori’, e ho deciso di farla sotto gli occhi di tutti, come un cazzo di attore di Forum.

Le emozioni vanno vissute, non ragionate è formula applicabile nella prima fase, l’elaborazione fisica. Una volta vissute col corpo, le emozioni vanno descritte a parole, sennò te le porti dietro, tornando a tampinarti le palle quando meno te lo aspetti, sottoforma di litigi col primo che capita, malumore, ansia e tutte le altre psicocazzate inventate dagli psichiatri per aggiungere un'altra pagina al DSM (quel librone in cui sono riportate le peggio patologie immaginabili nate dalla fantasia di un medico qualunque, votate, e dichiarate UFFICIALI per alzata di mano).

Il potere della scrittura è di concretizzare materialmente la fuffa filosofica che caratterizza le nostre giornate da esseri semi-viventi.

Per quanto vari maestri indiani, cinesi, giapponesi, ci ricordino l’importanza di non identificarci con le emozioni ( l’identificazione avviene prima nella mente, poi si manifesta nel corpo sottoforma di disturbi e malattie), di cercare di vivere il più possibile nel momento presente, quindi approcciare alla vita con leggerezza, smorzandone il lato intellettuale, penso sia importante provare le emozioni su tutti e due i piani.

Poi, se mai mi illuminerò, sarà tutta un'altra storia.

Magari svilupperò poteri medianici, canalizzerò messaggi interdimensionali, scriverò libri sul risveglio spirituale, e magari potrò rifarmi 4 chiacchiere con nonna in una seduta spiritica.

Chi lo sa.

Adesso sono le 9:12, sto quassopra dalle 6:00.

Penso di essermi sufficientemente alleggerito.

Ringrazio quanti di voi mi hanno seguito in questo processo catartico, durante il quale mi sono messo nelle condizioni utili a far pulizia di una serie di cazzate che mi portavo dietro da tanto, tanto tempo (vedi nota ‘**’).

Grazie a tutti e buona settimana.

E non morite.

5 commenti:

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