lunedì 29 ottobre 2012
DIURNO NOTTURNO
Esci alle 4 del mattino, passeggia per Valeggio. Sperimenterai cosa significa deserto. Palazzi guardiani, bagliori d’insegne accese illuminano le ombre di nessuno. A ogni passo, in ogni suono hai la sensazione di profanare qualcosa.
Ancor’ viaggiando sui binari del parallelismo col deserto, le strade mattutine di Valeggio riescono a riproporne il medesimo silenzio - percepito dall’osservatore come un continuum perpetuo, il quale ti colloca al centro di un immaginario (e immenso) ∞ , spronandoti a muoverti in esso come un liquido.
Sono le 4, tra neanche 2 ore tutto ciò verrà rimpiazzato con la giungla sonora caratteristica della civiltà, eppure qualcosa dentro ti dice di continuare a camminare dosando i passi per rimanere in sintonia con l’atmosfera, come se essa fosse il pentagramma e tu l’insieme di note che lo riempiono.
Guardandoti attorno – con estrema calma – riuscirai a percepire la staticità della materia.
Il crocifisso della chiesa, bianco e blu fiammeggiante, sembra inquadrarti col suo fascio di luce, setacciandoti al dettaglio. Sembrerebbe che il crocifisso stia “indicandoti il cammino”; sei un anti iconoclastia troppo maturato per permetterti una simile metafora.
Forse è la cosa più alta che c’è qui intorno.
Le ali di un aeroplano fendono spirali d’aria rimbombando nella notte della mattina di lunedì 29 ottobre 2012.
Quasi sento le mura delle case, i mattoni si stanno muovendo, si ribellano alla prepotenza del velivolo che deve avergli disturbato il sonno.
Una manciata di istanti. Tutto si riconverte nel fotogramma precedente.
E tornano: silenzio, staticità; unici padroni di una fotografia in continuo scatto.
Ciiic.
Ammmm.
Soooooo.
Accendi la sigaretta, aspirando assopito, in contemplazione. Rallenti il passo per poterti amalgamare al non ritmo – come fosse possibile plasmarsi su questo silenzio - senza perderti dettagli del fotogramma – ora in pausa - nel quale sta muovendoti a passo quasi snervante.
Abitualmente cammini più energicamente quando è così ghiacciato; la temperatura ti tange il corpo, nulla più.
Stai cercando di ascoltare se il fruscio della quiete inneschi meccanismi uditivi.
Vadim Zeland descriveva il “fruscio delle stelle del mattino”.
Stelle, pianeti, corpi celesti; non c’è niente.
Frusciar di macchinette delle sigarette. Due led intermittenti catturano i lati dell’obbiettivo; qualcosa oltre te sta muovendosi. Fumo dalla bocca, luci del distributore ammiccano desiderose che avvenga un contatto.
Vogliono che immetti in loro qualcosa di tuo, e loro ti daranno del loro.
Nel deserto senti di avere qualcosa in comune con una macchina.
Decidi di isolare la mente, osservare ciò che gli occhi vedono, ciò che gli altri 4 sensi si illudono di percepire senza apporre etichette a sensazioni e pensieri, divenendo osservatore passivo.
Essere.
Taaaaam.
Rintocca la mezz’ora dopo le IV.
Dalla brocca dell’angelo al centro della fontana sgorga acqua sull’acqua dentro il cerchio di pietra.
Conigli spalla contro spalla, fiori incisi a pressione nel muro dell’osteria di fronte l’edicola del complesso residenziale.
Parchimetro sull’attenti.
Bicicletta parcheggiata, ruota anteriore incapsulata tra parallele in ferro.
Manifesti teatrali, ricordi di anniversari, ricorrenze.
Gocce di condensa dall’alto fluttuano ondeggianti - ponendosi in controluce, tra segmenti del prisma visivo messo in evidenza dall’occhio giallo del lampione - danzandosi attraverso l’un l’altra, nel nulla si stampano, originando vuoti suoni.
Videoschermo brilla animazioni commerciali.
L’agguato di un gatto dietro il bidone del vetro rosso.
Espositori, titoli di prime pagine giornalistiche tacciono, farciti dei discorsi di ieri.
In lontananza, progressivamente giunge un mangiar d’asfalto; ruote in progressione.
Intermittenza sonora, neon, insetti attirati dai diodi; in essi scrutano l’abisso esistente tra i loro e gli occhi del gas.
Odore di giorni in attesa, profumo di respiri custoditi nei palazzi.
Nero su bianco recintato da rosso di cartello stradale - tramite cifre - regola l’assenza di attività.
Un piccione, per sempre sdraiato, fissa il nulla.
Ovunque c’è qualcosa, ovunque è qualcosa.
E tutto è niente.
La solitudine non esiste; esisterà solo quando il vuoto si svuoterà del suo contenuto.
lunedì 22 ottobre 2012
IL TUO SALOTTO E' UNA FABBRICA, E IL PRODOTTO SEI TU
Mi rode il culo, perché non…
Non si può parlare.
La priorità?
Importare la propria merce altrove.
No?
Dice così il giornale: “Per combattere la crisi bisogna esportare”.
Per combattere la crisi devi annientare le parti bacate del tuo cervello.
Quando Ray Kurzveil metterà a punto nano robot portatori di femto napalm, a questi signori basterà applicarsi un piccolo foro nel cranio – tipo “π Teorema del delirio” - introdurvi robottini, e questi faranno un piccolo falò correggendo le parti malate.
Mi rode il culo - con piacere - perché presto non ci sarà più nessun organo di nostra proprietà; il solo fatto di baciare l’illusione di possedere qualcosa - e arrivare al punto da prendersi la briga di “farsela rodere” - è appagante.
Dovevo dire qualcosa ma non era chiaro – come sempre.
Stavolta era meno chiaro del solito- eppure sentivo di dover scrivere, tanto quanto le altre volte che ho scritto – e probabilmente mi sono anche scordato, come una chitarra in marmorea caduta sul pavimento, del poco che avevo chiaro.
Impegnarsi, per me, è difficile.
Non credo in niente – anche se credo a tutto – , apparentemente non ho motori che mi spingano a desiderare, di conseguenza ad agire.
Sto fermo.
Mi sento bloccato dall’handicap auto inflittomi col potere della mente.
Oh, cervello, supremo strumento di demolizione.
Da demolire.
Quella noce scoppiettante installata dentro al cranio crea tutto, può tutto, è il tutto – che è niente - e sebbene ‘ste minchiate le si conoscono non si riesce a decifrarle fino in fondo, e farle nostre (cioè padroneggiarle), per poter trovare una via d’uscita.
TROVARE UNA VIA D’USCITA… se ci interessa davvero, smettere di brancolare nel buio.
Fa ridere, come ridiamo quando non ridiamo al cospetto delle sciagure dateci in pasto dai media.
Fa piangere, quando ci commuoviamo senza provare sentimenti, senza sapere cosa ci faccia sprofondare in una condizione di tristezza.
Fa riflettere, quando vedi che ti guardi allo specchio, scrutandoti cogli occhi posti tra un lobo temporale e l’altro.
Fa esitare, quanto eravamo in cerca di libertà; siamo in cerca di ordine, seppure una parte della Mente Collettiva sia alla ricerca della non ricerca; è per via di questa libertà o quell’altra schiavitù.
Non c’e differenza.
Onestamente, vi siete mai chiesti: “Cosa sono, io?”.
Il solo atto di porsi questa domanda (“fare ricerche”; “essere esegetici”) porta a uno stadio di consapevolezza tale da innalzarti – sì, anche intellettualmente – al di sopra della monocromatica prospettiva esistenziale alla quale ci hanno/ci siamo educati.
Vedere oltre le ridotte capacità visive di un miope, il quale non sa di possedere ben altri occhi oltre le gelatine colorate incastonate sotto la fronte.
Il vero vedere passa attraverso gli occhi interiori.
L’Arena di Verona, giornale dei giornali.
Lo sfoglio perché mi annoio.
Lo guardo perché non voglio vedere.
Lo cerco perché sono amorevolmente masochista.
Le prime pagine (21, per l’esattezza) trattano di argomenti variopinti e innovativi come la crisi, la crisi di ogni settore economico, la crisi della vita privata dei cittadini, insomma, la Crisi, tipo un 22enne che ha accoltellato la ex perché non gli andava giù che lei avesse aperto gli occhi – da qualche tempo si era resa conto di fare coppia fissa con una testa di cazzo [oltretutto potenzialmente pericolosa].
Non c’è da preoccuparsi: la madre dell’assassino dichiara: - Giornali e telegiornali dipingono mio figlio come un killer. Noi siamo una famiglia perbene.
Una famiglia perbene che ha saputo donare al figlio un ottima mira, tanto che delle 18 sferzate ne sono andate a segno 18 (18/18!!!).
Trascorso il periodo di detenzione, che contribuirà sicuramente a far diventare il ragazzo ancora più perbene – si sa, il carcere tira fuori il lato migliore di ognuno – l’esercito italiano avrà a disposizione un altro formidabile cecchino, ed egli si batterà con onore per esportare la democrazia (l’avevano detto che l’esportazione combatterà la crisi!) nei paesi orientali che preferiscono avere la dittatura che hanno sempre avuto, piuttosto che averne un'altra targata Eurasia.
Se le prime pagine di crisi, cronaca&sciagure erano “soltanto” 21, passiamo ora al VERO caposaldo dell’Arena – come d'altronde di ogni giornale popolare atto a creare consenso tramite propaganda occulta (niente messaggi subliminali: solo intrattenimento, distrazioni, macabri svaghi).
LO SPORT: 34 PAGINEEE!!!
Praticamente una Gazzetta travestita da quotidiano d’attualità!
Ben TREN-TA-QUATTT-TRRRO pagine dedicate a omini che corrono dietro la palla, persone in bici che cercano di sorpassare persone in bicicletta, donne che si sforzano per correre più veloci di altre donne impegnate nel medesimo atto che ce la mettono tutta per arrivare a un punto stabilito.
Questi sono i nostri principali interessi: gente che corre dietro qualcosa.
Che stiano scappando da sé stessi?
Ecco: ci piace vedere la gente che scappa da sé stessa, così possiamo smettere di vederci scappare da noi stessi.
Una tragedia postmoderna che ha qualcosa di divertente.
Cosa?
Una sorveglianza mentale indiretta.
Fino a pochi anni fa, se non facevi quello che ti era richiesto tiravano fuori il bastone.
Adesso ti danno in mano un telecomando che puoi usare solo, esclusivamente come dici tu.
SEI LIBERO!!!
Infine la 3° parte dell’Arena:
ARTE E CULTURA.
6 pagine.
6.
Nulla da aggiungere.
Non serve a un cazzo, leggere mille libri l’anno per fare il saccente con gli amici, oppure andare a duecento mostre per stare un ora e mezza a reggerti la guancia col pollice e l’indice a braccia conserte.
Di per sé, la cultura è fuffa.
Ma che ci piaccia o no, è evidente che ora come ora la cultura è l’unico trampolino capace di catapultarci oltre le solite piattezze del quotidiano, fino a raggiungere una maggiore consapevolezza.
La cultura va sublimata… se però non passi mai per la sua strada, puoi tranquillamente andare a farti vaccinare, farti installare il microchip di identificazione, e aspettare che finisca la giornata, così, magari, domani sarà migliore – come ti hanno insegnato a “sperare”, e come speri da quando ti hanno castrato, giorno dopo giorno.
La colpa è della crisi. Certo.
Io ci credo, e tu?
Devi crederci; se non ci credi, finisci col porti domande.
E non c’è cosa peggiore che pensare.
Lascia che i politici lo facciano per te, cazzo, ci sono loro apposta.
Risparmierai un sacco di grane e di tempo che potrai sicuramente utilizzare meglio, magari passando un paio d’ore in più di fronte alla tv.
Non è fantastico essere liberi in una democrazia oligarchica, dove ognuno è monarca di sé stesso?
lunedì 15 ottobre 2012
All’attenzione della Spett.le ditta “XXXXXX”, sperando in una reale mutazione
Il sottoscritto, dotato di antiquato (che oserei definire “sorpassato”) senso d’innata empatia, riesce perfettamente a capire la scelta del posto per effettuare il colloquio – dare un immagine dell’azienda “vincente” [per quel che significa] proietterà un altrettanta immagine produttiva - , di certo non mi meraviglio perché avete scelto di fare le cose “in grande” (anche se alla luce degli standard estetici attuali certi giochini li si percepisce come “assonnata ordinaria amministrazione” – parlo da spettatore esterno), e apprezzo senz’altro la selezione delle selezionatrici, esteticamente impeccabili tutte e tre – sebbene abbia avvertito vaga attrazione soltanto per una; prediligo donne che (ai miei occhi interiori) appaiono “innocenti” [per quel che significa] – , solo non mi va giù la strategia di cui vi siete serviti - indossare la maschera benevola, nobile e da cavalieri, paladini della giustizia - per attirarci tutti quanti (io e gli altri 6 candidati) in quell’hotel di serie A proprio al centro storico di Verona, per abbindolarci la canonica fuffa, nientepopodimenoché un’altra turlupinante imboscata accalappiamanager, - contrariamente a ciò che millantate sul sito, in cui vi dipingete come un esercito di salvatori (anche se lo definirei “solipsismo telematico), filantropi carichi d’amore, perché anche possa sembrare presuntuoso, arrogante, pedantesco, prolisso, talvolta sconnesso e accusatorio, sto scrivendo mosso dal bruciore arrecatomi da un tarlo avvinghiato alla mia coscienza, il quale mi sta mostrando quanto sia inaccettabile (perciò meritevole di denuncia) che un’ associazione socialmente accettata e riconosciuta muova i suoi loschi fili, nascosta dietro le quinte, per poi esporsi sotto la rassicurante etichetta “NO PROFIT” , illudendo poveri, indifesi senzalavoro come noi, col fine di annoverarli tra le proprie orde di orditi e trame manageriali, affinché ogni giovane sulla faccia della terra diventi un operatore di call center (attualmente la professione più in voga in Italia) travestito da procacciatore di risorse economiche, che voi avete avuto il coraggio di definire “dialogatore”, sulla scia (perfettamente accordati col) nuovo stato fascista globale che sta materializzandosi sotto gli occhi di tutti senza che la massa se ne accorga, tutti troppo presi da impegni futili, tra i quali spicca trascorrere preziosi minuti quotidiani per rispondere telefonicamente a uno di questi fantomatici “dialogatori” programmanti per spillare mensilmente ingenti somme agli affiliati, ignari che quei soldi serviranno a tutto tranne che allo scopo “ufficiale”, perché oramai si sa benissimo, tutti i soldi spesi da noi gente comune in tasse, canoni e beneficienza da noi servono esclusivamente ad “arginare” temporaneamente il debito pubblico contratto nei confronti della Banca Centrale, la quale ci presta (letteralmente) il nostro denaro, quindi un debito che – pian piano lo stanno capendo tutti – non si potrà mai estinguere, perciò mi farebbe assai piacere che tra le musichette e bei sorrisi dei Vs. annunci “Cercasi ragazzi volenterosi e dinamici” foste chiari, dicendo senza troppi giri di parole che chi lavora con voi è un elemosinatore legalizzato nutrito a briciole e buone parole, promesse di “carriera” (quando mai?!), e dio solo sa cosa, cosicché chi non si senta a proprio agio prima, durante, e dopo l’atto di implorare spicci dai passanti possa dedicare il pomeriggio, destinato al colloquio, ad altre attività come fare volontariato (quello sì è “no profit”) , svolgendo un lavoro davvero utile per il prossimo, senza dover ricorrere a stratagemmi passanti per l’ignominiosa strada del vile denaro, anche perché presto il sistema crollerà, e di quegli inutili pezzettini di carta che fanno girare il mondo nessuno saprà più che farsene (magari radunarlo sotto la sede parlamento europeo e accendere un bel falò istituzionale). Penso di essermi esaurito. Riassunto in 5 parole: 1) Datevi 2) Una 3) Cazzo 4) Di 5) Regolata. Magari il vostro cervelletto burocratico recepisce meglio i messaggi se esposti sottoforma di acronimi: D-U-C-D-R.
Distinti – senza scopo di lucro - saluti
A.C.*
*Questa dell’anonimato l’ho imparata da voi; fate presente il nome del presidente dell’associazione… perché non rendete pubblico il nome di chi si trova sopra di lui? Il capo del direttore** è quello che muove i fili, ed è quello che bisogna conoscere se si vogliono conoscere i reali scopi di un associazione. Siamo quasi nel 2012, questo giochino non funziona più. Datevi una svegliata.
**Direttore è colui che dirige i sottoposti verso la meta ma non è il “capitano”; egli non decide ne la rotta, ne la destinazione.
martedì 9 ottobre 2012
ROBACCIA DA UN PASSATO IDEALIZZATO CHE NON TI APPARTIENE
Presso la mia lacustre, ridente cittadina di domicilio, per tutta la giornata di domenica s’è svolta una manifestazione culturale d’altissimo interesse storico-prestigioso.
È stata significativa al punto che la gente nei bar ancora ne parla con fervore degno dei moti carbonari [N.B.: da quel dì, la vendita di bitter Campari&prosecco è decuplicata (soprattutto nella fascia oraria 06:00-11:00am.)].
Era la tanto attesa “Fiera del Vintage” valeggiana.
Ogni ultima domenica del mese, nella stessa piazza – quella sotto casa mia – c’è la “fiera dell’antiquariato”.
Cosa differenzia la “fiera dell’antiquariato”, dalla “fiera del Vintage?”.
Per chi non sapesse in quale materia fecale ci stiamo impelagando, faccio presente la sostanziale similitudine che accomuna gli aventi: ambedue le fiere consistono in pubbliche esposizioni di cianfrusaglie.
Sostanzialmente, ciò che differenzia una fiera dall’altra è la tipologia di cianfrusaglie.
Il vintage sbologna vestiti ammuffiti, l’antiquariato vende mobili cianfrusagliaceri – e qualche vestito.
Agli occhi del neofita ignaro la fiera dell’antiquariato può sembrare più “completa”, in quanto va a soddisfare più bisogni cianfrusaglieschi – col vintage puoi solo indossare le cianfrusaglie, mentre invece con l’antiquariato puoi anche addobbarci casa.
Gli altoparlanti dei bar trasmettevano gaudiose musiche anni ’50, senza però animare il sepolto spirito vintage presente nel cuore dei partecipanti, i quali si aggiravano guardinghi per il mercatino, tutti incazzati, cercando di stabilire chi fosse più vintage degli altri.
(Una la salvo, dài!): tolta una bancarella di notevoli Lp che strizzava un grande occhio fiammeggiante al funky psichedelico anni ’60, [come già abbondantemente fatto presente] le altre offrivano esclusivamente capi d’abbigliamento polverosi, smessi, logorati dal tempo e dalla memoria di gente che a suo tempo, quando erano davvero di moda, lì indossò…
… per poi cercare di dimenticarli; non a caso, tutti quei cappelli, scarpe, sciarpe, foulard, occhiali, pantaloni ecc. , invece di essere gelosamente custoditi dentro armadi di rovere sono sbattuti lì su tristi banchetti, spacciati per preziose rarità a prezzi inaccessibili.
La fauna vintage si presentava identica alla fauna vintage che potei mirare quando abitavo nelle natie Marche.
2 modelli di umanoidi; le femmine erano tutte culone acchittate come ballerine charleston. I maschi, androgini ventenni effeminati, sembravano uomini di mezza età a tutti gli effetti(avevo fatto presente che parevano tutti gay?).
Il post non è un attacco contro questo (o un altro) tipo di moda; ognuno è libero di riporre la propria libertà nel recinto mentale che preferisce, non sarò di certo io a stabilire se un essere umano sia migliore nelle vesti di buddista, alfista, surfista o antiquariatista vintagiano.
Ciò che mi preme lo stomaco spingendomi a spingere i tasti premendoci con forza viscerale sono i cagnolini.
È ben noto che l’adepto di ogni “setta urbana” , abbia al suo fianco un suppellettile a quattro zampe, come imprescindibile accessorio d’identificazione.
Le signore borghesi hanno volpini o barboncini, talvolta gattini – da buone megere che sono.
I pancabbestia hanno cani di razza aggressivi - da buoni figli di papà che sono.
Gli skinheads hanno il bull dog - da buoni musoni che sono.
I barboni (NON pancabbestia) hanno cani randagi trovati in giro – da buoni giramondo che sono.
Ogni categoria ha il suo tipo di cane.
Ogni categoria - per meglio sentirsi speciale, diversa (dalle altre categorie!!!), deve necessariamente esibire un cane.
Un ulteriore accessorio che li distingua dalla massa che pone l'accento sulla porzione di massa d'appartenenza.
Immaginate un granello di farina per pizze che cerca di distinguersi dalla massa quando si trova nella massa…
Il post non è neanche contro l’omologazione volontaria del genere umano, ne sulle razze dei cani.
Forse è un post sulla nostra razza bastarda.
L’essere vintage non impone una particolare categoria specifica di cani prestabiliti da presentare obbligatoriamente ad ogni presentat’ arm, comunque anche loro hanno i propri cani-immagine.
E li portano in giro per queste fiere del cazzo.
Avrò visto almeno una trentina di cani spaventati, tremanti, con la testa bassa, la coda tra le gambe, muoversi incerti e terrorizzati in mezzo a quell’ammasso di cianfrusaglie, fallite ex dive del charleston e culattoni di professione (un gay posso anche capirlo; uno che si atteggia a gay perché fa parte dei comportamenti impostigli dalla sua setta/etichetta è un pochino da cerebrolesi [mio umile pensiero]).
Manco a prenderli in braccio – la maggior parte erano cagnolini piccoli – ‘sti senz’anima.
In effetti, se prendi in braccio il tuo cagnolino finisce che sporchi il tuo bel vestito vintage di peli di cane (che non proprio vintage), rischiando di beccarti una toxoplasmosi troppo al passo coi tempi per essere ritenuta vintage.
Se non altro, una volta che schiatti diventi tu stesso oggetto d’antiquariato.
Magari una botta di culo, un colpo di fortuna e un giorno qualche satanista vintage comprerà le tue ossa, le userà come ornamento.
Di sicuro comprerà le tue ossa in qualche sotterraneo oscuro, non in un'altra cazzo di fiera sotto casa mia.
È stata significativa al punto che la gente nei bar ancora ne parla con fervore degno dei moti carbonari [N.B.: da quel dì, la vendita di bitter Campari&prosecco è decuplicata (soprattutto nella fascia oraria 06:00-11:00am.)].
Era la tanto attesa “Fiera del Vintage” valeggiana.
Ogni ultima domenica del mese, nella stessa piazza – quella sotto casa mia – c’è la “fiera dell’antiquariato”.
Cosa differenzia la “fiera dell’antiquariato”, dalla “fiera del Vintage?”.
Per chi non sapesse in quale materia fecale ci stiamo impelagando, faccio presente la sostanziale similitudine che accomuna gli aventi: ambedue le fiere consistono in pubbliche esposizioni di cianfrusaglie.
Sostanzialmente, ciò che differenzia una fiera dall’altra è la tipologia di cianfrusaglie.
Il vintage sbologna vestiti ammuffiti, l’antiquariato vende mobili cianfrusagliaceri – e qualche vestito.
Agli occhi del neofita ignaro la fiera dell’antiquariato può sembrare più “completa”, in quanto va a soddisfare più bisogni cianfrusaglieschi – col vintage puoi solo indossare le cianfrusaglie, mentre invece con l’antiquariato puoi anche addobbarci casa.
Gli altoparlanti dei bar trasmettevano gaudiose musiche anni ’50, senza però animare il sepolto spirito vintage presente nel cuore dei partecipanti, i quali si aggiravano guardinghi per il mercatino, tutti incazzati, cercando di stabilire chi fosse più vintage degli altri.
(Una la salvo, dài!): tolta una bancarella di notevoli Lp che strizzava un grande occhio fiammeggiante al funky psichedelico anni ’60, [come già abbondantemente fatto presente] le altre offrivano esclusivamente capi d’abbigliamento polverosi, smessi, logorati dal tempo e dalla memoria di gente che a suo tempo, quando erano davvero di moda, lì indossò…
… per poi cercare di dimenticarli; non a caso, tutti quei cappelli, scarpe, sciarpe, foulard, occhiali, pantaloni ecc. , invece di essere gelosamente custoditi dentro armadi di rovere sono sbattuti lì su tristi banchetti, spacciati per preziose rarità a prezzi inaccessibili.
La fauna vintage si presentava identica alla fauna vintage che potei mirare quando abitavo nelle natie Marche.
2 modelli di umanoidi; le femmine erano tutte culone acchittate come ballerine charleston. I maschi, androgini ventenni effeminati, sembravano uomini di mezza età a tutti gli effetti(avevo fatto presente che parevano tutti gay?).
Il post non è un attacco contro questo (o un altro) tipo di moda; ognuno è libero di riporre la propria libertà nel recinto mentale che preferisce, non sarò di certo io a stabilire se un essere umano sia migliore nelle vesti di buddista, alfista, surfista o antiquariatista vintagiano.
Ciò che mi preme lo stomaco spingendomi a spingere i tasti premendoci con forza viscerale sono i cagnolini.
È ben noto che l’adepto di ogni “setta urbana” , abbia al suo fianco un suppellettile a quattro zampe, come imprescindibile accessorio d’identificazione.
Le signore borghesi hanno volpini o barboncini, talvolta gattini – da buone megere che sono.
I pancabbestia hanno cani di razza aggressivi - da buoni figli di papà che sono.
Gli skinheads hanno il bull dog - da buoni musoni che sono.
I barboni (NON pancabbestia) hanno cani randagi trovati in giro – da buoni giramondo che sono.
Ogni categoria ha il suo tipo di cane.
Ogni categoria - per meglio sentirsi speciale, diversa (dalle altre categorie!!!), deve necessariamente esibire un cane.
Un ulteriore accessorio che li distingua dalla massa che pone l'accento sulla porzione di massa d'appartenenza.
Immaginate un granello di farina per pizze che cerca di distinguersi dalla massa quando si trova nella massa…
Il post non è neanche contro l’omologazione volontaria del genere umano, ne sulle razze dei cani.
Forse è un post sulla nostra razza bastarda.
L’essere vintage non impone una particolare categoria specifica di cani prestabiliti da presentare obbligatoriamente ad ogni presentat’ arm, comunque anche loro hanno i propri cani-immagine.
E li portano in giro per queste fiere del cazzo.
Avrò visto almeno una trentina di cani spaventati, tremanti, con la testa bassa, la coda tra le gambe, muoversi incerti e terrorizzati in mezzo a quell’ammasso di cianfrusaglie, fallite ex dive del charleston e culattoni di professione (un gay posso anche capirlo; uno che si atteggia a gay perché fa parte dei comportamenti impostigli dalla sua setta/etichetta è un pochino da cerebrolesi [mio umile pensiero]).
Manco a prenderli in braccio – la maggior parte erano cagnolini piccoli – ‘sti senz’anima.
In effetti, se prendi in braccio il tuo cagnolino finisce che sporchi il tuo bel vestito vintage di peli di cane (che non proprio vintage), rischiando di beccarti una toxoplasmosi troppo al passo coi tempi per essere ritenuta vintage.
Se non altro, una volta che schiatti diventi tu stesso oggetto d’antiquariato.
Magari una botta di culo, un colpo di fortuna e un giorno qualche satanista vintage comprerà le tue ossa, le userà come ornamento.
Di sicuro comprerà le tue ossa in qualche sotterraneo oscuro, non in un'altra cazzo di fiera sotto casa mia.
venerdì 5 ottobre 2012
CLAMOROSO
'sta stettimana mi sono scordato di scrivere il blog.
è la prima volta che succede da quando fondai odiotarantino.
Lunedì ho frequentato il primo giorno del corso di scrittura creativa. da quel dì scrivo come un porco-dì.
Come diceva Antonio Rezza in nei panni di debbura, - Ho rishcoperto il piascere de farme rishpettà in famiglia.
Sono veramente contento.
Per una volta ho l'onesta sensazione che il mio lavoro abbia una direzione.
E LO PENSO DA SOBRIO!!!
Quale sia 'sta fantomatica direzione non lo so; sento che avere una direzione - non una "meta" - sia più che un motore capace di spingermi a passare ore e ore riverso su di un quaderno, poi sopra una tastiera che non sia quella della chitarra.
Devo ringraziare due persone speciali, senza le quali non mi sentirei come mi sento adesso.
Grazie Elena, grazie Walter.
Ma anche grazie di cuore a tutte le persone che questi anni mi hanno sostenuto durante i momenti difficili, aiutandomi ad uscire dai deliri di inferiorità e siderale sconforto ("scrivo di merda, le mie storie non serve a niente, faccio schifo, dove mi presento bla bla bla").
Grazie Sara, grazie Camillo, grazie Marzia.
E anche a voi, lettori veterani e nuovi.
Sapere che ci siete mi fa sentire bene.
... sembrano i ringraziamenti alla fine di un romanzo di successo.
Mi sa che mi sono già montato la testa.
Perfetto.
Anche se non ho ancora pubblicato niente e non ho un soldo in tasca comprerò cocaina, bottiglie superalcooliche e farò lo scrittore maledetto morendo di cirrosi epatica tra un anno.
Ed è tutta colpa vostra.
Vi odio.
Fuck you.
... troppo adolescente... devo trovare un modo più adulto per congedarmi.
Come faccio?
Non faccio.
... magari mi illumino...
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