lunedì 13 febbraio 2012

ENNNAAA, IA, UIL LOUEIS LOIUUUUUU ELLLALLLAAAAAA


A NOI FANS SFEGATATI CI PIACE RICORDARLA COSI'.
CIAO, WITNEY, GRAZIE DI TUTTO.
WI ALUEIS LOV IU





ATTO I DA ANTOLOGIA.
ATTO II DA 2 COGLIONI.
Poteva fare un film da 3 ore e mezza e salvare la faccia - e le palle dello spettatore




Vado a fare colazione sotto casa con la neve sotto le scarpe.
Temperatura decentemente abbordabile, se paragonata all’altra mattina che, passeggiando per Verona, sentivo le guance impietrirsi, la cicatrice sotto l’occhio destro pulsante di eterno dolore.

Ordino caffè.
La clientela è ottima, vecchi ubriaconi di paese alle prese col giornale delle catastrofi, lascivi commenti, accondiscendente sconfitta.
La barista bionda taciturna, a suo modo simpatica, fa conversazione con uno dei fenomeni da baraccone, il quale tenta di apparire simpatico, come se quella sorta di mero approccio fosse il primo passo della camminata che conduce – almeno egli spera – tra i meandri della biancheria intima della gioventù.

Dalle casse zampetta fuori Love is all round dei wet wet wet, in perfetta simbiosi armonica con la situazione (c’è un approccio in corso con colonna sonora eseguita da un gruppo che si chiama, appunto, bagnato bagnato bagnato).

Associo il pezzo alla colonna sonora de Quattro matrimoni e un foro anale, ripenso agli anni ’90.
Lo vidi la prima volta quando uscì, frequentavo le scuole medie.
Hugh Grant era il mio idolo, cercavo di imitare il suo modo di parlare, per essere timidamente impacciato come il Charles che interpretava.
Pensavo fosse quello, il segreto per rimorchiare.

Negli anni novanta c’era una fauna di esseri più magri, si muovevano secondo altri, lenti tempi, soverchiati da - più alla umana porta – problemi esistenziali da soap opera.

… anche se è una ridicola, soggettiva puttanata - e me lo dico da solo.

Neve fluttua dall’alto verso il basso.
Fosse il contrario, cazzo se ci sarebbe da preoccuparsi.

Sono calmo, soddisfatto, vagamente nostalgico nei confronti di un decennio che, se andate a vedere, faceva cagare assai; i ‘90 erano la versione plastica dei già plastici ‘80, considerandone il livello musicale.

Disquisendo di livello musicale, ovvio che ci metto anche il resto.
Vita e musica sono la stessa cosa. Dire che musica e vita vanno di pari passo è utile come dire che torace e gambe camminano di pari passo.

GLI ANNI 90 ERANO PLASTICI MUSICALMENTE ED ESISTENZIALMENTE, a parte qualche autore come Douglas Coupland.

Finito il brano dei bagnati, gli altrettanto nostalgici deejay raccontano qualche aneddoto sui bagnato bagnato bagnato, sul film di Granti, sulla scena dei mnemonici deliri di cui ero in preda.
Attraverso un paio di occhiali da segretaria imporchettata i nostri sguardi si incrociano come Gesù alle assi di legno.

Sai chi è morta stanotte?

Rimango di sasso come un Golem.
Sono andato a ubriacarmi lì cento volte.
Il nostro rapporto si è sempre limitato a scambi di cortesie – e di bicchieri.
Se la giocano l’essere sbigottito per il tentativo di entrare in contatto con me al di fuori della sfera alcoolica, e sapere chi non calpesta più questo suolo.

Non faccio in tempo a scegliere.

E’ MORTA WITNEY HOUSTON.

Boom.
Un cilindro fecale degli anni ’90 scivola giù nel cesso insieme ai ricordi.

Da maschietto abruzzese, a tratti megalomane, in termini religiosi convenzionali Ateo con problemi di auto stima e di relazioni interpersonali, musicista amante della musica, ho sempre collocato la Huston tra le più alte vette dell’inutilità semi artistica.

Voce potente, colpevole di interpretazioni standard di brani standard confezionati in fabbrica con l’amore di un commesso del McDonald’s che schiaffa l’ennesimo carico di patate fritte made in Saturno nella friggitrice industriale.

Accettabile nella media, piacevole nell’aspetto estetico – una botta le si poteva anche dare.
Nulla di più.

Il film per cui molti la ricordano, Bodyguard, mai visto.
Certo, ne ho passivamente subito la colonna sonora per svariati anni.
Non ho particolari ricordi da associare al brano, al film e a lei.

Potrei definirla una morte bianca, sebbene il cadavere fosse di matrice scura.

Ci sono rimasta male, ha detto due volte, quasi di fila.
La vedevo, povera barista – non so il nome.
Ho provato a tirarle su il morale facendo un po’ di conversazione.

Bodyguard l’avrà visto cento volte, e lo dice pure.
E altrettante volte si sarà innamorata sulle note di I will always love you – come cazzo si intitola quel tormentone là – e non lo dice neppure.

È sgomenta.

Invento che ho visto Guardia del corpo thousand times too, ma non l’ho visto neanche una.

Quella che era iniziata come idilliaca, nevosa mattinata s’è tramutata nel laido scenario pietoso con me versione baro come protagonista, con tanto di cadavere sulla coscienza.

Arriva un altro vecchio, porge il bicchiere da farsi riempire. Vuole uno Spritz.

Se lo sono inventati quaggiù al nord, lo spritz, eppure non lo sanno fare.
Forse sono io, ubriacone per necessità, che non si accontenta – per me lo spritz è bitter campari, prosecco e una spruzzata di acqua tonica, non una spruzzatina di bitter Aperol, una goccetta di prosecco e tre litri di acqua tonica, praticamente una gazzosa vagamente alcoolica per frocetti.

O bevi o non bevi, porca troia.

Ma torniamo al lutto.

Ogni tanto qualcuno famoso muore.
Quasi sempre il verdetto è overdose, sia volontaria o involontaria.

È quasi sempre la versione ufficiale.

Da buon complottista - non in questo caso - penso che siano gli ILLUMINATI a spingere le star a suicidarsi.
… se non le fanno fuori direttamente in loschi modi, per poi montare la versione overdose da dare in pasto alle masse.

Ma questa è un'altra paranoide storia.

Il mio buon vecchio padre, tra una star morta e l’altra, indignato soleva riflettere ad alta voce: - Boh, io non lo so. Era giovane, aveva tutto, non doveva andare a lavorare, la fica ce l’aveva – , o il cazzo, se la sessualità del cadavere era opposta e corretta - , e si drogava. Boh, io non lo so.

Neanche io sapevo.
Provavo a farmi un idea, come se usare la logica potesse spiegare la follia del de-genere umano.

Cosa spinge una star, che dalla vita ha ottenuto tutto, a mettersi nelle condizioni da fare una fine degna dei poveracci che abitualmente dimorano in parchi e stazioni, lungi dalle chilometriche ville iper lussuose dei nostri beniamini?

La risposta è tardata ad arrivare.
Però è arrivata.
Ed è venuta a sbattermi sul grugno, come una Ferrari a 220 contro un palo della luce dello stadio.

Sin da piccoli ci hanno messo a credere che lo scopo della vita risiede in una serie di traguardi da raggiungere.
Questi traguardi sono – più o meno in ordine – completare TUTTE le scuole col massimo dei voti, che automaticamente significa ottenere un lavoro da signori che economicamente assicura un ottima vita, trovare il partner perfetto che ci amerà per sempre, sfornare marmocchi rompicoglioni e continuare finchè il fegato non chiede time out, tramutandosi in pulsante cirrosi epatica.

Questa terrificante – eppure largamente condivisa - , volenti o nolenti ce la portiamo stipata nel cervello da generazioni.

Durante il corso degli anni, tra una crisi economica, un disastro ambientale e l’altro, la lista degli obbiettivi si è livellata semplificandosi a GUADAGNA UN MUCCHIO DI SOLDI, COSI’ PUOI COMPRARE TUTTO SUBITO E COMPLETARE LA LISTA NEL GIRO DI UN PAIO D’ANNI.

Se sei succube di simili perverse distorsioni, riesci ad ottenere il successo tanto agognato diventando famoso – la maggior parte dei famosi lo diventa da giovani – ti ritrovi senza più obbiettivi, scopi, come volete chiamarli.

E la noia non attende ad arrivare, anzi, si materializza come un bastardo poltergeist vendicativo.

La felicità non è liffuori.
La realizzazione non è il taglio di fittizi traguardi, ne nell’accumulo di beni materiali, ne nello stabilire una relazione sentimentale che duri per sempre.

Chi non capisce che non esisteono ne un liffuori, ne traguardi, rimane inculato.

Chi crede che la felicità si ottenga cercando, incassando, guadagnando, mettendo, accumulando, è destinato a scoprire – prima o poi – che la vita non ha senso.

QUELLA vita non ha senso.

Se il senso della tua vita è il risultato ottenuto dalla somma di nocive cazzate - sottoprodotto partorite dalle menti a capo di una società idiota e malata, col cazzo che ne vieni fuori.

Siamo su questo pianeta per altri motivi.
Non chiedetemi quali siano.
Di sicuro non hanno a che fare con l’aumento del capitale della Coca Cola Company, ne con l’aumentare in generale.

Il 90 percento delle persone che ora abitano il pianeta non sono diverse dalle star che muoiono di overdose.
Sono vive SOLO perché non hanno ancora raggiunto tutti gli obbiettivi.

Virtualmente sono già tutte morte.

E non lo sanno.
O lo sospettano.
Ecco perché libri come THE SECRET vanno a ruba.
Peccato che neanche quella è una soluzione.

Buona settimana a tutti e grazie per le numerosissime visite.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

"Il 90 delle persone che calcano il pianeta non sono diverse dai divi che muoiono di overdose.
Sono ANCORA VIVE solo perché non hanno ancora raggiunto tutti gli obiettivi."

Grande André!
E'un pensiero fulminante.

Trist.

Anonimo ha detto...

affaritaliani.libero.it/cronache/le-selezioni-farsa-della-cineteca-di-bologna290212.html

Io, qui ci ho preparato la tesi! (guarda articolo)