La settimana scorsa non ho aggiornato il blog perchè sono tornato in terronia a trovare i miei e ho fatto veramente un sacco di cose. Il resoconto della vacanza-studio antropologico non l’ho scritto e non lo scriverò per vari motivi, tra cui...
Ieri sera, in macchina, stavo ascoltando un capolavoro di disco (“Gli onorevoli colleghi) registrato casarecciamente da un caro amico, Camillo Perazzoli - del quale potrete trovare qualche lavoro su youtube (corti) e myspace (musica; grazie alla cerqua).
A un certo punto di questo concept album politico, riferendosi a un parlamentare morto – che in realtà è seppellito vivo e, dentro la bara, realizza che gli onorevoli colleghi hanno fatto fuori anche l’onorevole Moro - , un losco figuro, scosso dalla più infima commozione proclama: - Rimarrà per sempre nei nostri cuori.
Non è molto sensata come frase.
Mi sono venute in mente altre frasi fatte di uso comune e proverbi, così ho iniziato a scriverle, commentandole.
Quanto segue è il frutto di quella jam session.
VIVRA’ SEMPRE NEI NOSTRI CUORI: fino a prova contraria – e non penso ci sia bisogno di far presente che “la scienza lo ha dimostrato” - un giorno, prima o poi, il cuore di ognuno cesserà di battere. Il ricordo di questa persona DOVE continuerà a vivere, nel carapace delle aragoste che nasceranno dalla putrefazione del cadavere? E poi, chiccazzo ha deciso che i ricordi vengono custoditi all’interno del muscolo cardiaco anzichè nella memoria a lungo termine stipata da qualche parte del cervello?!
D’ALTRA PARTE E’ COSI’: e mi sta bene, ma a me interessa com’è qui dove mi trovo ora. Cazzo me ne frega delle usanze di altrove?
MEGLIO UN UOVO OGGI CHE UNA GALLINA DOMANI: ... e se domani mi sentissi in diritto di concedermi una frittata e Mcnuggets, chi mi proibisce di avere tutto insieme, il contadino?
OGNI LASCIATA E’ PERSA: ... mettiamo il caso che la ritrovassi: dove potrei ritirare il mio premio? Comunque, fornitemi le indicazioni corrette per arrivarvici; potrei perdermi prima che la mia ragazza mi lasci.
AIUTATI CHE DIO TI AIUTA: Se m’aiuto da solo, che ci faccio con l’aiuto di un altro, oltretutto onniscente; se gli interessava davvero qualcosa di me avrebbe fatto in modo che non mi cacciassi nella merda.
LASCIA CHE SIA: ... o lo stato e la camorra faranno il resto.
UNA MELA AL GIORNO TOGLIE IL MEDICO DI TORNO: per caso esiste un misterioso e misconosciuto veleno, insito nelle mele, che agisce esclusivamente sul dna degli iscritti all’albo dei dottori e dal quale TUTTI gli altri sono immuni?
CHI VA PIANO VA SANO E VA LONTANO: ... poi si annoia. E s’ammala. Quando stai male vovrresti essere in casa. O altrove. Forse è qui che uno inizia a contattare la condizione ideale per apprezzare “d’altra parte è così”.
L’ITALIA E’ UNA REPUBBLICA FONDATA SUL LAVORO. Quando il lavoro scarseggia, tipo adesso, diventa un oligarchia sorretta dalla disoccupazione.
Perchè quando “vai in pensione” rimani dentro casa? Mi aspettavo almeno uno chalet al mare. Cambiategli nome, tipo: - E’ anziano, ha raggiunto l’età per andare in parcheggio.
Ogni democrazia è caratterizzata dal diritto al vuoto.
QUANDO IL GATTO NON C’E’ I TOPI BALLANO: e quando c’è, cazzo fanno, giocano a carte? Si fanno l’aperitivo? I gatti odiano i topi perchè gli ricordano come si stava prima, ai tempi in cui all’ominide bastava avere un fottuto cane come migliore amico.
In democrazia vince la maggioranza. La “maggioranza” è la metà + 1. In dittatura la maggioranza è 1. Dalla specie più evoluta mi sarei aspettato qualcosina di più.
CARABINIERI, POLIZIA, FINANZA, FORZE DELL’ORDINE: la natura è ordine. Se ha bisogno di “riequilibrarsi” avvalendosi dell’aiuto di forze incarnate dagli esponenti più disordinati della specie più inutile che ci sia, viene da alzare la mano, chiedere: - Di preciso, quand’è che siamo diventati così idioti?
CHI LASCIA LA STRADA VECCHIA PER QUELLA NUOVA, SA QUEL CHE LASCIA, MA NON SA QUELLO CHE TROVA: Oggi come oggi, rincoglioniti come siamo, senza tom tom mi viene da farvi tanti auguri di ottima fortuna.
BUONA FORTUNA: esiste anche la “cattiva”? FORTUNA basta. Magari abbiamo fatto precedere il “Buona” per non far confusione cono l’omonima marca di sigarette...
Siamo stati rincoglioniti dal calcio, tanto che quando non ci capiamo più niente diciamo: - Sono nel pallone - . Le partite si giocano allo stadio: non avrei trovato termine migliore per definirlo; uno stadio mentale regredito.
Il supermercato non sembra così super, tantomeno mercato. Prima cosa: il mercato si fa all’aperto. Seconda cosa: al “supermercato”, perchè vedo tanti schermi sintonizzati su “La prova del cuoco” e non ce n’è uno che trasmetta l’andamento della borsa?
CRISI DI GOVERNO: Pensa a tutta la tua vita: sei mai riuscito a prendere una decisione senza andare/mandare in vacca tutto? Non sei capace di governarti. E mandi politici a farlo al posto tuo. I politici sono gente come te, con la propria vita, identica alla tua (miliardi in banca a parte). Se non sono in grado di governare la propria vita, figurarsi quella degli altri. A ‘sto punto invece di dire “crisi di governo” parlerei di “ordinaria amministrazione”. Perciò la crisi di governo ci sarà sempre.
DOBBIAMO LASCIARCI: ... perché, ci tenevamo? Non me n’ero accorto. Dov’era il precipizio? Chi teneva chi? Comunque, sei tu che hai mollato la presa, lasciandomi precipitare.
ORIGINARIAMENTE: ... e prima? Cosa succedeva? La mia curiosità supera il punto di partenza della curiosità delle masse. Sono un esploratore. Nonostante ciò, come tutti voi, originariamente anche io ero una goccia appiccicosa nei testicoli di papà.
È STATA UNA GRANDE PERDITA: approssimativamente siamo 7 miliardi di persone, di cui 4,5 donne, che ogni mese, per 2,3,4, talvolta 5 giorni filati hanno perdite, e non vanno mica in giro a spaccare le palle. Le donne non si sopravvalutano.
OGGI A ME, DOMANI A TE: e agli altri? Perchè dobbiamo sempre mettercelo in culo 2 a 2 e non fare le cose in grande, tipo un orgia dionisiaca? È perchè siamo abituati a pensare in piccolo.
CI VUOLE PIU’ LA SPOSA A RIVESTISSE CHE LU TEMPO A RICAMBIA’: dipende da quanto la sposa sia bipolare. Perchè il tempo cambia facilmente come la sposa ripensa, sull’altare, a quanto sia tutto sommato una giornata di merda, e mettersi quel vestito sia fottutamente faticoso. E inutile.
L’HA MESSA SU UN PIEDISTALLO: e poi? Cosa ci ha fatto? Sapevo che frequentavi compagnie sbagliate.
POI SI VEDRA’: e se prima di “poi” ti viene un ictus mi lascerai tutta la vita in un purgatorio, girando nel vuoto, su me stesso, aspettando la risposta?
DOBBIAMO LAVORARCI SOPRA: anche perchè lavorandoci sotto si rischia di abbracciare – e quindi agire di conseguenza a – una visione medievale della Terra.
DIVINITA’: e per chi beve solo birra? E gli astemi? Sono tutti fottuti?
LASCIA IL TEMPO AL TEMPO: è un modo educato per dire che, anche stavolta, non erediterai un cazzo.
SCHERZA COI FANTI MA LASCIA STARE I SANTI: per quanto siano sacri sono ancora troppo suscettibili. Fossi in voi, con una vita talmente povera da sprecarla in sciarade con patiti d’equitazione, dubiterei sull’infallibilità che certa gente proclama.
LA FOGA DEL MOMENTO è il trighego del mese? È meno importante? Bisogna equilibrare le sessualità animali.
IO VOGLIO: .... buona fortuna!
NON MI SENTO IN PACE CON ME STESSO: inizia a far pace coi tuoi genitori; potrebbe essere un inizio. Vedi tu. Basta che non spari per primo.
BEATI GLI ULTIMI CHE POI SARANNO I PRIMI: nel frattempo gli ultimi fermenteranno. E quando diverranno i primi, i nuovi ultimi capiranno perchè i primi sono così stronzi. E il ciclo continua...
MOGLI E BUOI DEI PAESI TUOI: ‘sta gente non crede nel libero mercato. È un bene o un male? So solo che basare tutto sugli averi, sul possesso, porta a pensare come un contadino, lo stesso che deve aver coniato questo proverbio (che pare più un atto estremo di volontaria ignoranza).
DEVI RIMETTERTI IN CARREGGIATA: ... e pensare che prima di prendere la patente stavo meglio.
RACCOGLIERAI SOLO CIO’ CHE SEMINI: un po’ come dire che tirerai l’acqua su quel che hai depositato in fondo al cesso.
Ieri è andata così. Spero di avervi strappato un sorriso... e che non mi andiate a denunciare, facendomi passare per un borseggiatore...
AUGURO A TUTTI UN FELICE... no, col cazzo; troppo pretenzioso, capzioso e fazioso.
AUGURO A TUTTI UN SERENO 2013, SPERANDO CHE NON SI INVENTINO UN ALTRA CAZZATA TIPO 21-12-12 PER INSCATOLARCI NELLE SOLITE PARANOIE DEL CAZZO.
lunedì 31 dicembre 2012
lunedì 17 dicembre 2012
PROIEZIONE... CHE BEL FILM
Avete notato qualcosa di diverso queste ultime due, tre settimane – se non da qualche mese? Non avete la sensazione che qualcosa stia cambiando? Intendo nel piccolo, nel vostro quotidiano.
Elettrodomestici che non funzionano, computer che si spengono da soli senza motivo, o che si beccano virus dal nulla.
Casalinghi Fenomeni Elettromagnetici da piccolo incubo post Stephen King?
Secondo alcuni scienziati, tra cui Giuliana Conforto, il 21-12-12, famigerata, presunta data della fine del mondo (magari… non siamo così fortunati) le fasce di Van Halen – non il chitarrista, presunto inventore del tapping (anche perché molti anni prima già lo faceva Steve Hakket) – ci assottiglieranno progressivamente fino a salutarci e…
Proiettare diverrà un ricordo. Non succederà dall’oggi al domani; ce ne accorgeremo.
Prima cosa: cazzo c’entrano ‘FASCE DI Van Halen’ e ‘proiettare’ con gli elettrodomestici?
La terra è in un campo magnetico. Io, tu, tutti noi siamo campi magnetici. Gli elettrodomestici (‘elettro-domestici; elettrici) come noi, generano e-let-tri-ci-tà. Questi campi li vedo un pochino, ino, ino, strettamente collegati. Oserei quasi definirli ‘simultaneamente, reciprocamente concatenati’.
Il nostro campo elettromagnetico influisce sugli elettrodomestici. Se pensate sia fantascienza, pensate. Vi invito a sentire cosa stavate provando, a livello emozionale, due secondi prima che il computer si spegnesse. Era gioia di vivere, di essere lì a fare con piacere una cosa che vi soddisfa, o eravate in ansia di controllare le mail, andare su FB a vedere questo o quello, e simili?
Supposizioni.
Sapete cos’è la proiezione?
È un meccanismo della nostra mente. Freud fu il primo a parlarcene e a dargli un nome. È una teoria. Solo una teoria.
Eppure, se iniziate a osservare la vostra vita, quella degli altri, vi accorgerete che si basa tutto sulla proiezione.
Detto in parole talmente povere che, fossero mendicanti, andrebbero alla stazione a chiedere l’elemosina agli elemosinari: quando ti senti in colpa, proietti l’odio per te stesso verso un'altra persona, entrandoci in conflitto.
Per ‘sentirsi in colpa’ intendo lo stato in cui ognuno di noi, ogni giorno, è prigioniero per il 90% del tempo. Per sentirci in colpa basta un piccolo, sottile – tanto che il più delle volte non ce ne rendiamo neanche conto – pensiero di giudizio.
ESEMPIO. State tagliando il pane, una fetta vi viene brutta e asimmetrica. Per un infinitesimale il vostro cervello ha pensato, - Che idiota, non sono neanche in grado di tagliare una fetta di pane - . Entra qualcuno in cucina, vi dice qualcosa, qualsiasi cosa. Subito avete la sensazione che la vi abbia attaccato, che vi abbia offeso SENZA MOTIVO.
Che quella persona sia incazzata con voi, o che abbia bisogno di prendersela con qualcuno perché la sua giornata fa schifo – mentre la vostra è bellissima. Dio, quanto stavate bene prima che quello stronzo venisse a darvi fastidio con la sua infelicità.
CERTO CHE LE PERSONE SON’ PROPRIO STRONZE, EEEHHH?!
Il meccanismo è questo. Se, quando tornate lucidi e calmi perché l’incazzatura vi è passata, riavvolgete il nastro, setacciate alla moviola le dinamiche di come si sono svolti gli eventi, la conversazione, il tono che ha usato la persone, quali parole ha detto esattamente, e la vostra reazione, probabilmente dovrete riconoscere che quel ‘nemico’ vi aveva fatto una semplice richiesta, oppure vi aveva detto un banale – Oggi piove - , così, giusto per fare due chiacchiere, e voi avete proiettato su quelle parole una miriade di personalissime insinuazioni tipo, ‘Mi sta prendendo per il culo perché ho tagliato una fetta di pane che sembra un aborto’ , ‘Oggi piove che significa, sta insinuando che io sono di cattivo umore? Perché non si fa i cazzi suoi, come si permette’ , ecc. ecc. ecc.
Questo era uno dei migliaia di casi con cui la proiezione avviene. Parte sempre da un giudizio che diamo a noi stessi e poi, incapaci di riconoscerlo per ciò che era – un misero giudizio senza valore – andiamo subito a cercare il nemico, che si trova sempre FUORI, lontano da noi.
Si dice, SI DICE che questo fenomeno sia possibile grazie a queste fasce di Van Halen, che sono come una sorta di ‘specchio’ elettromagnetico attorno alla terra, e che funge da ‘muretto dello squash’.
Cioè, io ho la mia pallina di merda (giudizi), la scaglio contro il muretto, e quella ritorna indietro, all’infinito, fin quando continuerò a colpirla.
Nessuno ha mai battuto il muretto a squash.
Che ci crediate o meno alle barriere non è importante. Quanto alla storia della proiezione vi basterà osservarvi litigare con qualcuno o con voi stessi, tipo quando ve ne state a rimuginare per ore contro questa o quella persona che vi ha dato fastidio.
Invece di farvi possedere dalla collera osservate senza giudicare. Guardate. Siate un osservatore silente. A cosa stavate pensando prima di litigare con qualcuno – o anche con voi stessi?
Pochi istanti prima del delirio, dov’eravate con la mente?
Talvolta la proiezione si rivela un fenomeno immediato, questione di secondi; altresì può capitare che il famoso ‘giudizio’, il quale scatenerà la guerra tra voi e ‘altri’ lo formuliate alle 12 e alle 14, dopo due ore che siete rimasti lì a rimuginare, fermentare di rabbia - solo che per svariati motivi, tipo essere rimasti isolati tutto il tempo, ripetendovi ‘va tutto bene’, ‘non c’è niente che non vada’, ‘ è fatto così perché è così, è il suo carattere’ – avvenga una proiezione non su una persona bensì su una situazione.
Accendete la tv. C’è il telegiornale. Una notizia qualsiasi (tanto sono tutte uguali; hanno il solo, unico scopo di mettervi a credere che è tutto una merda, che non si può cambiare nient, che siete privi di qualsiasi potere decisionale nei confronti della vostra vita), e subito intercettate un nemico con cui prendervela: il debito pubblico, la crisi, i terroristi, il partito politico che non avete votato affonda l’economia ecc.
E passerete una giornata d’inferno odiando il prossimo… che in realtà è odiare voi stessi, perché il fegato che patisce travasi di bile di rabbia è il vostro, non quello dei politici o dei terroristi.
Penso non ci sia molto da ‘sforzarsi a credere’ a quello che sto dicendo, prima cosa perché non me lo sto inventando. Potete informarvi. E secondo, perché un fenomeno così quotidiano,palese, reiterato, che probabilmente vi è successo poco prima di mettervi a leggere, o succederà a distanza di ore.
Negare la nostra abilità a proiettare sarebbe come negare che il frigorifero che avete in cucina serva a mantenere intatti gli alimenti. Lo avete lì, lo usate tutti i giorni; dubitereste del vostro frigo?
… anche se non vi farebbe male dubitare di TUTTO. I dubbi portano domande, le domande disfano le certezze. E sono queste ultime che ci ingabbiano in una visione monodimensionale della vita. E quando vedi la vita dal buco della serratura, allora sì che il telegiornale ha ragione e non puoi fare niente nella vita, se non vedere cosa decideranno per te ‘gli altri’.
DISFARE L’ILLUSIONE DI SICUREZZE, DI CERTEZZE: Vogliamo tutto ‘sicuro’: il lavoro, l’amore, i soldi. Anche se sappiamo che di sicuro non c’è mai stato niente. Solo l’idea di sicurezza.
E’ MA UNA VOLTA, QUANDO TI ASSUMEVANO ERA FINO ALLA PENSIONE, OGNI MESE PRENDEVI I TUOI SOLDI, E I MATRIMONI NON FINIVANO IN DIVORZI COME FINISCONO ADESSO, ALLA VELOCITA’ DELLA LUCE.
È vero anche questo. Allora vi porgo un altra domanda: quelle persone del ‘sicuro passato’, che facevano lo stesso lavoro tutta la vita, che avevano sempre a disposizione somme di denaro che gli – ipoteticamente – permetteva di dormire sonni tranquilli, accanto alla stessa donna (o uomo) per tutta la vita… erano sereni? Avevano la certezza matematica di avere sempre e comunque il culo parato? Passavano tutta la vita senza nutrire neanche un briciolo di dubbio nei confronti del futuro ?f
E soprattutto, erano davvero felici?
Non sto insinuando che ci sia un meglio o peggio, che le persone del passato siano state una massa di infelici timorosi del domani e che ‘noi’ stiamo meglio di loro.
Volevo solo buttarvela lì. Poi, ognuno trarrà le sue conclusioni.
E le conclusioni di ognuno saranno tutte, egualmente VERE… entro i limiti del cranio di chi ha formulato la verità.
Non oltre.
Buona vita.
Ps: Van Halen è stato uno tra i chitarristi più sopravvalutato della storia della musica. Tolti i primi due dischi con David Lee Roth ha fatto inciso solo merda per fighetti anni ’80 che manco gli Europe sono stati in grado. Si fotta lui e il suo presunto ‘pionierismo tapping’.
… alla faccia della proiezione…
lunedì 10 dicembre 2012
ARRIVEDERCI L'ANIMA
AVVISO AI SIGNORI LETTORI.
Consiglio un bel copiaincolla su word. Leggere tutta 'sta fuffa con lo sfondo nero è straziante.
Consiglio un bel copiaincolla su word. Leggere tutta 'sta fuffa con lo sfondo nero è straziante.
La cosa più preziosa che mi ha lasciato la scuola è l’aver imparato a dire cazzate di serie A.
Prima di entrare in questa sala d’attesa dove si preparano gli operosi, ubbidienti lavoratori di domani, avevo già sviluppato un discreto talento nel raccontar bugie, tanto che nel mio primo romanzo gli dedicai un piccolo saggio in cui illustravo lo schema che bisogna seguire per essere creduti sempre e comunque durante un botta e risposta con l’autorità.
Il fulcro su cui poggia una balla raccontata come si deve – che comporta 1) Ricevere consensi 2) Passarla liscia – è la particolarità dei dettagli con cui la si modella, definendola microscopicamente.
Per venire creduti bisogna non è importante mettere tanta carne sul fuoco, ma fare una descrizione sentita e minuziosa del fumo esalato dalla fiamma che la sta riscaldando. Se basate il discorso sulla ‘carne’ – che è da intendersi metaforicamente e letteralmente, in quanto è la tua ciccia che sta bruciando per il senso di colpa, perché ci piaccia o meno, quando si racconta una balla a qualcuno in realtà si sta mentendo a noi stessi, e ciò non fa piacere a nessun essere umano – fallirete, anche se l’interlocutore è un credulone ignorante bonaccione.
Bisogna scavare nel cuore della cazzata, facendo partire le vostre argomentazioni da un piano ‘intermezzo’. Rimanendo in ambito scolastico, un esempio pratico potrebbe essere il seguente.
Non avete fatto i compiti, niente giustificazione sul diario, e dovete dirlo alla professoressa che ha già preso il registro per mettervi la nota.
Se volete cavarvela col celebre – quanto abusato – ‘Non ho potuto fare i compiti perché me li ha mangiati il cane’, non potrete presentarvi al ricevente con questa frase così come l’ho scritta – che tra l’altro, negli anni è stata divulgata al punto da essere di per sé una battuta/frase-fatta/clichè smontante qualsiasi forma di credibilità ancor prima che gettiate le basi sulle quali ergere la vostra versione ufficiale dell’11 Settembre (restando in tema di grosse, grossissime cazzate) - , prima dovete lavorarci su.
Un buon inizio potrebbe essere descrivere le emozioni che provavate fissando inorriditi la saliva del cane, talmente arrabbiato, affamato, che per un attimo avete avuto paura di vivere in una casa protetta da una bestia simile, che pensavate di conoscere, e che adesso non mettereste più la mano sul fuoco riguardo quella che credevate fosse un inconfutabile massima, "Il cane è il migliore amico dell’uomo", perché l’esperienza si è rivelata una grande lezione sul fatto che non ci si può fidare di nessuno, tantomeno di una creatura appartenente a una specie diversa, sebbene possa sembrare vagamente razzista, e sebbene ci abbiano insegnato che sin dalla notte dei tempi il rapporto cinofilo di cooperazione antropologico canina ha prodotto cambiamenti, a livello umorale – e su questo ‘umorale’ inserire, se ve la sentite, un breve appunto su una fantomatica cugina guarita dalla depressione grazie alla pet terapy – e morfologico nell’antroposfera, dai tempi delle società matriarcali sino ai fallocratici giorni nostri.
Di fronte a un simile banchetto di novelle cuisine postmoderno-avant pop la professoressa potrebbe persino scordarsi perché gli avete sparato tutto ‘sto pippotto, magari premiare il vostro spirito d’osservazione, elogiare l’opportunità che ha comportato non aver potuto fare i compiti in quanto, più che un incidente, il fatto si sia rivelato un pretesto dal quale avete tratto un importante lezione di vita – mero traguardo che alcuni professori sono convinti di poter impartire passando attraverso quel luogo d’indottrinamento sociale , cardine del sistema, che è l’istituzione scolastica.
L’altra ‘cazzata madre’ che altresì gode di fama satirico fallimentare, brillante di cinematografico splendore pierinesco è "Professorè, non ho fatto i compiti… s’è morta nonna".
Per raccontare quest’altra cazzata si può usare uno schema simile a quello presentato sopra, sostituendo la saliva del cane con la straziante visione del corpo senza vita di quell’imprescindibile figura familiare che si è rivelata, col tempo e l’esperienza, il prototipo di genitore ideale, privo di difetti, che vi passava le caramelle sottobanco, quand’eravate in castigo, che prendeva le vostre difese, anche se naufragavate in una tempesta di torto marcio, quando stavate litigando coi genitori, sbizzarrendovi su dettagli toccanti; se vi giocate bene la carta ‘mimica facciale’ riuscendo a produrre un espressione coriaceo costernata, potrete pescare tra bizzeffe di teneri aneddoti autobiografici – o di fantasia – , al centro dei quali voi piccini, che ancora non vi reggete bene in piedi, infagottati tra le mani di lei che vi tiene in braccio, il sapore gentile di quelle Rossana alla cannella, tornando spesso sulla figura tenera della nonna - sembra ieri, avete la sensazione che sia ancora lì, dietro i fornelli, preparando il sugo per gli gnocchi fatti a mano, con tanto amore, dalle cinque della mattina, col solo scopo di riunire la famiglia, passare una bellissima domenica come si faceva una volta (con la maggior parte delle persone funziona alla grande denigrare il presente, lamentarsi di quanto tutto faccia schifo, ed elogiare il passato, urlare a gran voce quanto si stava meglio ai bei vecchi tempi).
Il movente di questo post puntuale – ultimamente non pubblico più con la precisione di un orologio spaziale, ogni lunedì mattina – è che per la prima volta mi trovo a poter usufruire della seconda balla senza dover sfoderare l’espressione coriacea, tantomeno far leva sui dettagli teneri da fiction di Canale5, perché d’ora in poi, quando non potrò consegnare i compiti e dovrò raccontare che non li ho potuti fare perché nonna è morta – tolto il fattore spaziotemporale – dirò la verità.
Sabato mattina nonna è morta. Per sua sfortuna non era dietro i fornelli a fare gli gnocchi, ma sdraiata su un letto di ospedale, mentre un tubo le drenava i reni.
Era morta da tempo, anche se ogni volta che l’andavo a trovare era imbalsamata sul tavolo della cucina, fumando Philip Morris One una dietro l’altra, mentre Rita dalla Chiesa le insegnava cos’è bene, cos’è sbagliato, cosa comprare e quando uscirà l’ultimo libro di ricette di Suor Germana – che porca puttana continuano a pubblicarla nonostante si sia tolta dalle palle 1000 piatti di spaghetti fa, quando a me a momenti non m’hanno pubblicato manco il certificato di nascita, figurarsi il romanzo o i racconti.
Ma questa è un'altra trista novella. Non ho niente contro Suor Germana, tantomeno con Antonella Clerici, Benedetta Parodi o Lorella Cuccarini – ebbene sì, anche lei si è data alla narrativa gastronomica – anche perché, se devo essere sincero, queste ultime rappresenterebbero 2 tipologie di donne dalle quali mi farei cucinare qualsiasi cosa in qualsiasi momento.
Tolto questo appunto sul mio orientamento sessuale che potrebbe sembrare fuori luogo, visto che stavo parlando di mia nonna che non potrà più gustarsi il deretano danzante della Parodi che cucina lasagne che nessuno mai potrà mangiare (almeno, fin quando non commercializzeranno la Televisione Odorosa di cui parla Huxley in ‘Brave New World’), sto cercando di rielaborare un lutto servendomi del canale scrittura.
Parlo di elaborare il lutto perché, se da una parte la cosa mi toccato, dall’altra sono felice. ‘Felice’ è inappropriato, ma rende vagamente l’idea.
Ho imparato che tutti gli esseri umani, persino quelli freddi, calcolatori, cinici e spietati come me, provano le emozioni allo stesso identico modo. ‘Provano’ in senso fisico. Tutto avviene nella pancia, sottoforma di rivelatori brontolii.
Quando mamma ha chiamato per darmi la notizia, e l’ho sentita piangere, prima che iniziasse a parlare ho staccato la spina al cervello, isolato il canale uditivo, e mi sono concentrato sulla pancia, perché sapevo che rimanendo sul piano intellettuale mi sarei raccontato un mare di cazzate, tutte quante vere e dettagliate come la minchiata del cane compito fago e avrei detto NO a un istante di verità. Non avevo bisogno di sentirmelo dire letteralmente, avevo intuito il messaggio, e necessitavo di rimanere a digiuno di solipsismi giustificatori*.
TEMPORANEE NOTE A PIE’ DI PAGINA (SCHIAFFATE QUI PERCHE’ SOTTO NON RENDONO)
*DEFINIZIONE DI SOLIPSISMO GIUSTIFICATORIO ‘Discorso solitario, orale o mentale, avente come fine la giustificazione autoreferenziale** di chi parla o pensa’.
**ECCONE UN ESEMPIO PRATICO: ‘Nonna si era stufata di vivere almeno sei anni fa. (semi)viveva una vita del cazzo, costellata di dolore fisico e morale. Era frustrata, demotivata, stanca. Passava TUTTE, TUTTE le giornate ipnotizzata da antidolorifici e da una scatola crea mostri spara stronzate, guardando figure moventi senza capirne il senso – come se esista un implicito significato nelle cause (pseudo) giuridiche che si svolgono negli studi televisivi, adibiti a falso tribunale, in cui vengono preregistrate le puntate di Forum, in cui attori da 2 soldi recitano il ruolo di poveracci al centro di una vita altrettanto miserrima al punto da trascinarsi di fronte a milioni di persone per spiattellargli in faccia i propri cazzi (e poi, quando sono a casa loro, e litigano coi familiari, ripetono ogni tre secondi, - Non urlare che ci sentono i vicini) – fumando sigarette che spegneva a metà perché il blocco artico di catarro nei polmoni la faceva respirare come una betoniera colma di cemento, catrame, monossido di carbonio e quant’altro andava ad aggiungere benzina sul fuoco che le logorava le gambe, chirurgicamente aperte e farcite 4 volte, piene di metallo a un livello che il T1000 di Terminator2 e lo stronzone di Robocop gli potevano fare 6 pippe a 12 mani cibernetiche.
FINITE LE NOTE.
Con tutte queste stronzate pigiate nel cranio, come avrei potuto elaborare il lutto – dato che sembra più l’elaborazione di un criptico racconto labirintico sperimentale noioso?!
Le emozioni vanno vissute, non ragionate.
L’elaborazione di sabato e ieri è stata di natura fisica. Sono stato attento a come mi sentivo, cosa provavo, come mi sembravano le cose che facevo – con, stipate di fronte agli occhi mentali, due sue fotografie, speditemi via MMS da mia cugina.
L’attuale post è servito a favorire un elaborazione ‘ai piani superiori’, e ho deciso di farla sotto gli occhi di tutti, come un cazzo di attore di Forum.
Le emozioni vanno vissute, non ragionate è formula applicabile nella prima fase, l’elaborazione fisica. Una volta vissute col corpo, le emozioni vanno descritte a parole, sennò te le porti dietro, tornando a tampinarti le palle quando meno te lo aspetti, sottoforma di litigi col primo che capita, malumore, ansia e tutte le altre psicocazzate inventate dagli psichiatri per aggiungere un'altra pagina al DSM (quel librone in cui sono riportate le peggio patologie immaginabili nate dalla fantasia di un medico qualunque, votate, e dichiarate UFFICIALI per alzata di mano).
Il potere della scrittura è di concretizzare materialmente la fuffa filosofica che caratterizza le nostre giornate da esseri semi-viventi.
Per quanto vari maestri indiani, cinesi, giapponesi, ci ricordino l’importanza di non identificarci con le emozioni ( l’identificazione avviene prima nella mente, poi si manifesta nel corpo sottoforma di disturbi e malattie), di cercare di vivere il più possibile nel momento presente, quindi approcciare alla vita con leggerezza, smorzandone il lato intellettuale, penso sia importante provare le emozioni su tutti e due i piani.
Poi, se mai mi illuminerò, sarà tutta un'altra storia.
Magari svilupperò poteri medianici, canalizzerò messaggi interdimensionali, scriverò libri sul risveglio spirituale, e magari potrò rifarmi 4 chiacchiere con nonna in una seduta spiritica.
Chi lo sa.
Adesso sono le 9:12, sto quassopra dalle 6:00.
Penso di essermi sufficientemente alleggerito.
Ringrazio quanti di voi mi hanno seguito in questo processo catartico, durante il quale mi sono messo nelle condizioni utili a far pulizia di una serie di cazzate che mi portavo dietro da tanto, tanto tempo (vedi nota ‘**’).
Grazie a tutti e buona settimana.
E non morite.
lunedì 3 dicembre 2012
CIFRATA GENESI DELLA RESISTENZA
El pìa, el pià.
Lo ripete da stamattina alle 07:00.
Si trascina per le vie del paese e: - El pìa, el pìa.
Sarà “Lui prende”?
Sarà “Il Pia”?
Quel che è, adesso, in questo momento (ore 11:00) ci fornisce un altro indizio: - La morte dei manichini… porco dio… come si chiama?
Stamane Sergio il Matto è davvero in forma; i suoi componimenti linguistici sono sempre temprati in una sorta d’ermetismo d’altri tempi.
Quest’oggi ci sta invitando a… presto lo scopriremo.
La settimana scorsa l’enigma da risolvere era: - … una pom-pa ad altìssimo PPpotenziale.
La soluzione non ce l’ha detta. Potevo scendere in strada a chiederglielo; stavo facendo altro.
Proviamo a dare una risposta plausibile all’enigma quotidiano.
“EL PIA, EL PIA. LA MORTE DEI MANICHINI… PORCO DIO… COME SI CHIAMA?”
Anzitutto, curioso il fatto che l’enigmista (Sergio) introduca un elemento interrogativo, il che ci pone di fronte a un enigma ibridato di indovinello. Rispetto ai suoi canonici standard, Sergio si sta evolvendo; di solito denuncia gli abusi e le ingiustizie alla quali assiste di tanto in tanto e poi, magistralmente, le ripropone ai paesani sottoforma di enigmi strillate, così da invogliare il pubblico a ragionare, a impiegare del tempo per porsi domande.
Stavolta è lui che ci pone direttamente una domanda, come se volesse instradarci. Magari è un tranello, chi lo sa; è tutto da vedere.
EL PIA: fosse “Egli Prende” (Lui “pìa”), voce del verbo prendere, terza persona singolare, la prima strofa potrebbe riferirsi a qualche oscuro figuro che si appropria indebitamente di qualcosa di comune, come ad esempio beni pubblici – e che a sua volta potrebbe ricollegarsi alla faccenda dei manichini, la cui morte è ancora da verificare se sia avvenuta per cause naturali o se (sempre rimanendo nell’ottica di “El” come persona fisica) siano stati assassinati da questo ladro sottrattore di beni collettivi.
Nella seconda ipotesi, Sergio sta suggerendo che EL PIA, cioè, “PIA” sia il nome del malfattore in questione, o il soprannome.
Per quel che mi riguarda, potrebbe anche essere un acronimo identificante un gruppo terroristico armato invischiato nel traffico illecito di manichini (Procacciatori Internazionali di Automi). Sergio è sempre stato un maestro degli acronimi (si ricordi il celeberrimo caso “E ti, e mi la spoglio E.P.P.GNA.GNE”).
Analizziamo ora la seconda parte.
LA MORTE DEI MANICHINI.
Molte scuole di pensiero potrebbero ragionarci - e scontrarsi - per giorni, senza venirne a capo.
La morte dei manichini potrebbe essere una metafora con la quale Egli (Sergio, non il Pia) ci sta avvisando che le persone (i manichini) diventate automi a causa d’una vita sempre più frenetica e vuota, si stiano piano piano spegnendo.
Perciò , il di Sergio cantare è da intendersi come un lavoro di risveglio collettivo, più che semplice gioco di parole.
Altresì, la dipartita di manichini sarebbe da accettare letteralmente come la fine di una dinastia originaria di queste parti: la famiglia Manichini - la quale sta per volgere al termine; niente eredi maschi; gli ultimi discendenti della sopracitata famiglia sono rimasti 5, tutte donne vedove.
Sergio potrebbe riferirsi alla fine di un’era di tirannia aristocratica e a un invito - rivolto alle persone – di mettersi in condizione di totale disponibilità verso l’inizio di qualcosa di nuovo.
Scarterei questa spiegazione “profetica” dell’enigma settimanale.
PORCO DIO
Quanto a questo “porco dio” che, sebbene sembri gratuito, altresì rappresenta il cardine su cui si regge l’intricato puzzle.
Se da una parte potrebbe sembrare un imprecazione, in questo “porco dio” io riesco a scorgere, sì, del rammarico, ma anche un altro acronimo che ci trasporta sempre più vicino la sorgente delle soluzioni.
N.B. Sergio non è mai banale nelle scelte stilistiche con cui formula i suoi capolavori da decifrare.
P: “Per” - O: “Ora” - R: “Ritiro” - C: “Cio’” - O: “Ovviamente” - D: “Dispongo” - I: “Irrequivocabili” - O: “Ordini”
Letta così, la faccenda si ribalta; anziché l’indovinello settimanale, Sergio sta istruendo i suoi uomini sul da farsi, prima di intraprendere un azione di guerriglia urbana volta a spodestare la famiglia Manichini dal proprio tirannide trono.
PER ORA RITIRO CIO’: ritira l’indovinello settimanale; ci sta parlando ma non è un indovinello come al solito (anche se in futuro ne promette di nuovi – o il “per ora” non lo avrebbe inserito).
“OVVIAMENTE”: è da intendersi che sicuramente, indipendentemente da ciò che succederà, finché avrà energia in corpo continuerà le sue attività di enigmista.
Il che ci porta alla conclusione: COME SI CHIAMA?
Ed è ovvio: come si chiama il più grande capo guerra della zona, dotato di abilità mentali fuori dal comune?
Sergio.
Grazie a questa nota auto celebrativa finale, riusciamo a decifrare l’intero enigma - presentatoci sotto forma di ‘quasi’ indovinello strillato a gran voce, coniato con lo scopo di risvegliare la nostra coscienza addormentata, facendoci prendere atto del problema “tirannia aristocratica” che da troppi secoli schiaccia i nostri capi chini, che persiste incontrastato, che presto finirà, perché ancor prima di nascere (e mobilitarsi) la Resistenza ha già trovato un leader, un nuovo salvatore.
COME SI CHIAMA?
Sergio.
Dio mio che fatica, vivere col cervello che mi ritrovo.
A lunedì prossimo.
mercoledì 28 novembre 2012
COMIZI D'AMORE
In biblioteca ho trovato “Comizi d’amore”, un film documentario del 64 girato da Pasolini (con la collaborazione di Alberto Moravia e Oriana Fallacci).
Lo conoscevo, ne avevo visti degli spezzoni in vari documentari, ma non sapevo che qualcuno si fosse preso la briga di editarlo in dvd e divulgarlo… perché non mi sono interessato abbastanza.
Se davvero mi fosse interessato, avrei cercato.
Semplice, no?
Comunque, appena l’ho visto – per usare un registro linguistico aulico/solenne – mi ha piàto bbè’ di bbrutto.
Appena finita la visione, mi sono reso conto che si è rivelato una grande lezione di vita, tanto che oggi a pranzo lo riguarderò. E poi lo riguarderò.
Per essere più precisi, lo “rivivrò”.
Mi ero fatto un idea dell’italiano medio degli anni 50/60 molto particolare, per non dire terribile, semplicistica (e per niente particolare).
Pensavo ai vecchi compaesani come una massa anodina di zotici caproni contadini ignoranti addormentati - eccezion’ fatta per i grandi come i vari Pasolini, Moravia, Montanelli, Svevo ecc.
Vi spiego l’iter; come c’ero arrivato a questa brillante conclusione antropologica?
(capito? io, il grande luminare di ‘sto cazzo giudicavo per sentito dire; mi faccio tenerezza da solo).
Ho visto come siamo adesso e ho sottratto; cioè, ora che – teoricamente – l’alfabetizzazione si è estesa (stupidamente ho pensato), per quanto rincoglioniti dalla tv e dai media, conosciamo un sacco di cose in più che prima erano ignote e, per quanto siamo un popolo di deficienti, siamo “evoluti”.
Cristooddio. Ho i brividi a confrontarmi col vecchio me stesso, colui il quale dall’alto di un immaginaria cattedra saccente, tutto sapeva e conosceva, nelle tasche appesantito dall’ingombro della “verità”.
Povero, povero me. Porèllo!
Al di là che c’è “sapere” e “sapere” e al di là di là di là dell’utilizzo che se ne fa (molti figuri dotati di cultura enciclopedica possiedono un senso di umanità pressoché equivalente a 0, il che significa che tutta quella fuffa intellettuale non gli è servita assolutamente a niente) - io scambiavo il “sapere” con la consapevolezza.
Il sapere è solo una delle strade verso la consapevolezza, non di più.
Detto questo. Gli italiani di quel periodo, sessualmente parlando, ne sapevano tanto quanto ne sappiamo noi che viviamo nell’era del web, di wikipedia, del sapere easy to drink.
Sentire certe risposte mi ha stupito, divertito e quasi commosso. La spontaneità, la chiarezza di certi soggetti è stata disarmante.
Vengono intervistati tutti: dai bambini del popolo, passando per la fascia “media”, fino agli studenti universitari, da nord a profondo sud.
Ciò che mi è più servito è capire da dove vengono certi valori e convinzioni installate nelle nostre menti, cioè il bagaglio che ci portiamo appresso dall’inconscio collettivo.
Ad esempio: il concetto di “superiorità maschile” (“L’uomo è superiore alla donna [brrrrrrrr]) di cui siamo ancora convinti, e che si sta ribaltando – come se servisse a qualcosa, stabilire che esista un sesso “superiore” - era cantato con forza solenne da certe donne intervistate.
Quando Pasolini domandava “perché?” la risposta era (in sintesi): E’ COSI’ PERCHE’ E’ COSI’.
Quelle persone non si facevano domande: nascevano, venivano educate dai genitori, lavoravano e rigavano dritto come gli era stato insegnato, perché era così che doveva andare.
E oggi?
Quanti di noi si fanno domande sulle cose che vedono?
Lo “stato” italiano. Cosa significa davvero “stato”? Perché tutti i territori sono stati accorpati in paesi, che poi costituirono regioni, che poi furono unite nel sangue in un unico stato da Garibaldi”?
Al di là delle cagate che ci insegnavano a ripetere a pappagallo a scuola; in quanti se lo chiedono?
Denaro: perché esiste il denaro? Chi l’ha inventato? Perché il denaro esiste NON per servire l’umanità, bensì per essere suo avido padrone? Perché ancora oggi ci sono popoli che fanno la fame (noi ci stiamo spingendo in quella direzione) quando oggi, con l’automazione del lavoro, potremmo tutti vivere senza lavorare e goderci la vita mandando affanculo pure il concetto di denaro?
Cosa significa la parola “matrimonio”? Perché ci si sposa? Perché si fanno figli?
Religione: perché dio, che è amore, ci punisce continuamente? Perché una mente superiore scrisse le sue volontà in un libro dove si parla la maggior parte del tempo di persone che agivano “per conto suo”? Perché, se Egli risiede nel nostro cuore noi, per contattarlo, dobbiamo leggere un libro vecchio di centinaia di anni che è tutto meno che chiaro? Perché ci ha dato 10 leggi - e poi l’uomo ne ha scritte altri milioni di altre?
Ecc.
Al di là delle risposte che “darete”, vivete in Italia, vi sposerete, farete figli, lavorerete per avere indietro del denaro perché è sempre stato così.
Cosa propongo?
Iniziate a farvi domande; arriverà un punto in cui ne avrete miliardi.
O non ne avrete più. Perché sarete in pace (non intendo “morti”).
Farsi domande porta tutto tranne che pace ma… è una strada come un'altra…
Per la Consapevolezza.
La consapevolezza non comporta déi da pregare, altari sui quali inginocchiarsi (scienza compresa), tantomeno grandi misteri che devono essere svelati.
La consapevolezza porta pace. E la felicità è conseguenza della pace. Non potete essere “felici” se non siete in pace. Questa l’ho scoperta dopo tante tranvate sui denti.
Ma ognuno ha il suo percorso.
Fate esperienza.
Buona settimana a tutti.
Lo conoscevo, ne avevo visti degli spezzoni in vari documentari, ma non sapevo che qualcuno si fosse preso la briga di editarlo in dvd e divulgarlo… perché non mi sono interessato abbastanza.
Se davvero mi fosse interessato, avrei cercato.
Semplice, no?
Comunque, appena l’ho visto – per usare un registro linguistico aulico/solenne – mi ha piàto bbè’ di bbrutto.
Appena finita la visione, mi sono reso conto che si è rivelato una grande lezione di vita, tanto che oggi a pranzo lo riguarderò. E poi lo riguarderò.
Per essere più precisi, lo “rivivrò”.
Mi ero fatto un idea dell’italiano medio degli anni 50/60 molto particolare, per non dire terribile, semplicistica (e per niente particolare).
Pensavo ai vecchi compaesani come una massa anodina di zotici caproni contadini ignoranti addormentati - eccezion’ fatta per i grandi come i vari Pasolini, Moravia, Montanelli, Svevo ecc.
Vi spiego l’iter; come c’ero arrivato a questa brillante conclusione antropologica?
(capito? io, il grande luminare di ‘sto cazzo giudicavo per sentito dire; mi faccio tenerezza da solo).
Ho visto come siamo adesso e ho sottratto; cioè, ora che – teoricamente – l’alfabetizzazione si è estesa (stupidamente ho pensato), per quanto rincoglioniti dalla tv e dai media, conosciamo un sacco di cose in più che prima erano ignote e, per quanto siamo un popolo di deficienti, siamo “evoluti”.
Cristooddio. Ho i brividi a confrontarmi col vecchio me stesso, colui il quale dall’alto di un immaginaria cattedra saccente, tutto sapeva e conosceva, nelle tasche appesantito dall’ingombro della “verità”.
Povero, povero me. Porèllo!
Al di là che c’è “sapere” e “sapere” e al di là di là di là dell’utilizzo che se ne fa (molti figuri dotati di cultura enciclopedica possiedono un senso di umanità pressoché equivalente a 0, il che significa che tutta quella fuffa intellettuale non gli è servita assolutamente a niente) - io scambiavo il “sapere” con la consapevolezza.
Il sapere è solo una delle strade verso la consapevolezza, non di più.
Detto questo. Gli italiani di quel periodo, sessualmente parlando, ne sapevano tanto quanto ne sappiamo noi che viviamo nell’era del web, di wikipedia, del sapere easy to drink.
Sentire certe risposte mi ha stupito, divertito e quasi commosso. La spontaneità, la chiarezza di certi soggetti è stata disarmante.
Vengono intervistati tutti: dai bambini del popolo, passando per la fascia “media”, fino agli studenti universitari, da nord a profondo sud.
Ciò che mi è più servito è capire da dove vengono certi valori e convinzioni installate nelle nostre menti, cioè il bagaglio che ci portiamo appresso dall’inconscio collettivo.
Ad esempio: il concetto di “superiorità maschile” (“L’uomo è superiore alla donna [brrrrrrrr]) di cui siamo ancora convinti, e che si sta ribaltando – come se servisse a qualcosa, stabilire che esista un sesso “superiore” - era cantato con forza solenne da certe donne intervistate.
Quando Pasolini domandava “perché?” la risposta era (in sintesi): E’ COSI’ PERCHE’ E’ COSI’.
Quelle persone non si facevano domande: nascevano, venivano educate dai genitori, lavoravano e rigavano dritto come gli era stato insegnato, perché era così che doveva andare.
E oggi?
Quanti di noi si fanno domande sulle cose che vedono?
Lo “stato” italiano. Cosa significa davvero “stato”? Perché tutti i territori sono stati accorpati in paesi, che poi costituirono regioni, che poi furono unite nel sangue in un unico stato da Garibaldi”?
Al di là delle cagate che ci insegnavano a ripetere a pappagallo a scuola; in quanti se lo chiedono?
Denaro: perché esiste il denaro? Chi l’ha inventato? Perché il denaro esiste NON per servire l’umanità, bensì per essere suo avido padrone? Perché ancora oggi ci sono popoli che fanno la fame (noi ci stiamo spingendo in quella direzione) quando oggi, con l’automazione del lavoro, potremmo tutti vivere senza lavorare e goderci la vita mandando affanculo pure il concetto di denaro?
Cosa significa la parola “matrimonio”? Perché ci si sposa? Perché si fanno figli?
Religione: perché dio, che è amore, ci punisce continuamente? Perché una mente superiore scrisse le sue volontà in un libro dove si parla la maggior parte del tempo di persone che agivano “per conto suo”? Perché, se Egli risiede nel nostro cuore noi, per contattarlo, dobbiamo leggere un libro vecchio di centinaia di anni che è tutto meno che chiaro? Perché ci ha dato 10 leggi - e poi l’uomo ne ha scritte altri milioni di altre?
Ecc.
Al di là delle risposte che “darete”, vivete in Italia, vi sposerete, farete figli, lavorerete per avere indietro del denaro perché è sempre stato così.
Cosa propongo?
Iniziate a farvi domande; arriverà un punto in cui ne avrete miliardi.
O non ne avrete più. Perché sarete in pace (non intendo “morti”).
Farsi domande porta tutto tranne che pace ma… è una strada come un'altra…
Per la Consapevolezza.
La consapevolezza non comporta déi da pregare, altari sui quali inginocchiarsi (scienza compresa), tantomeno grandi misteri che devono essere svelati.
La consapevolezza porta pace. E la felicità è conseguenza della pace. Non potete essere “felici” se non siete in pace. Questa l’ho scoperta dopo tante tranvate sui denti.
Ma ognuno ha il suo percorso.
Fate esperienza.
Buona settimana a tutti.
lunedì 19 novembre 2012
EYE IN THE EYE
Giorni fa, mi pare giovedì, nell’occhio mi è entrato un pezzettino di ramo, caduto da un albero, grande approssimativamente come la metà di ¼ di chicco di riso. Si è poggiato in un punto che non compromette la vista.
È soltanto fastidioso.
La mia attenzione vaga. Ogni tanto ritorna lì, a quel fastidio.
Ho un problema: sono incapace di toglierlo.
A meno che un esperto applichi un divaricatore alla palpebra costringendomi a spalancarlo, tenere l’occhio aperto risulta impossibile. Appena vedo un dito - sia anche il mio - avvicinarsi minaccioso, serro l’occhio d’istinto.
Mi ricordo la sera di Halloween di 11 anni fa. Ti ricordì, Sa’?.
Ci dovevamo mascherare per andare a una festicciola (che in realtà non c’era) in un horror pub, e vagammo attorniati dal saggio freddo delle montagne, strafatti di un discreto hashish impossibile da apprezzare perché le temperature corporee oscillavano tra 0 e 3°C.
E tu provasti a truccarmi gli occhi, invano.
Niente. La matita s’avvicinava, l’occhio tirava giù le serrande.
Fui un Corvo parzialmente truccato. Fondotinta sì, matita no.
Non riesco a capire perché tutto questo terrore verso una parte del mio corpo, manco fossi un cristiano castrato dell’800 incapace anche solo di toccarsi l’uccello, figurati masturbarsi. Deve essere stata la scena finale di “Guinea Pigs: The Devil Experiment” a farmi litigare con suddetto organo.
E quello se ne sta lì, appollaiato come una piccola zecca assetata.
A dire la verità, appena resomi conto che qualcosa s’era intrufolato nell’organismo, pensai fosse l’ala di qualche insetto. Ho pensato “prima o dopo andrà via da sola. Il corpo rigetta ciò che gli è estraneo, essendo una macchina perfetta, capace di auto tutelarsi”.
Nel pomeriggio, mentre guardavo estasiato “Il Volto” di Bergman, ho fatto esercizi oculari finalizzati a lacrimare, sperando di debellare il flagello bashtardo. Fissavo scomodi punti del campo visivo. Ho provato a fissare la luce di una candela. Niente. Ho visualizzato ignote porzioni di campo visivo, brandelli spettrografici e anfratti cromatici fantastici.
Lacrimando, senza risultato.
Le paranoie sono arrivate puntuali, come un treno per l’ade. Ho visualizzato fotogrammi di Cronenber tratti dai primi film, quelli sulla “nuova carne” e la necrosi dell’organismo. Mi sono immaginato l’ala d’insetto andare in putrefazione, riempirsi di vermi che mi divoravano pian piano l’occhio fino a che un infezione craniale mi costringeva ad andare all’ospedale, dove l’avrebbero rimosso.
Ma poi mi sono convinto che era solo un rametto, ed è così, perché macchie bianche con la coda non ci sono.
Eppure rimane lì, a fissarmi gli occhi (letteralmente).
Ci ho riprovato dieci minuti fa.
L’occhio si chiude.
Quando inizierò a impazzire, vedrò di andare al pronto soccorso.
O magari se ne sarà andato via da solo.
Spero.
Volevo scrivere un post che, forse, scriverò presto, incentrato sull’atrocità qualunquistica irreale di cui la recitazione (e i dialoghi) nei disaster movie - come “The day after Tomorrow” - è totalmente schiava/ serva succube.
Se un asteroide grande come un appartamento ti sta arrivando addosso, col cazzo che “esclami”: - Mio dio, è impressionante, dobbiamo fuggire - . Come minimo ti viene una paralisi, o al limite bestemmi Cristo, ti caghi addosso e inizi a strillare nel tuo dialetto.
Pazzesco.
Ok.
Ci sentiamo presto.
Pregate per me.
Abbiate un occhio di riguardo.
lunedì 12 novembre 2012
QUALCOSA MI HA DATO FASTIDIO. NON SO DI PRECISO COSA. MA MI HA DATO FASTIDIO: RECENSIONI DELLE MIE ULTIME CINEVISIONI
Settimana caratterizzata da intense visioni è stata questa qua passata la settimana scorsa di lunedì da lunedi a ieri domenica che è finita la settimana.
Un po’ di passato di roba passata nel vecchio dei film di tanti anni fa e pure tanto di qualcosetta di recente e pure dell’anno scorso che è recente più di 2 o 5 anni fa anche se sono recenti pure quelli.
Grandi visioni sono state.
Quelle là.
Cercherò, in breve più brevemente possibilmente di raccontare cosa m’hanno lasciato i film visti da lunedì scorso (quello passato) a ieri (che però è anche oggi perché ho finito di vedere l’ultimo film pellicola alle 01:30 che era già stamattina), nella speranza di poter essere piccola fiamma - o fuoco fatuo, se preferite - nel vostro attuale mondo cinematografico, sia totalmente illuminato o buio come evanescenti notti di Nagasaki durante la seconda metà degli anni ’40.
Niente trame, niente recensioni da Mymovies; solo sensazioni
LISTA DEI FILM VISTI:
AVATAR
DEBITO DI SANGUE
SOUL FOOD
KILLER JOE
CHE FINE HA FATTO BABY JANE?
HALLOWEEN III
THIS MUST BE THE PLACE
AVATAR:
RICETTA PER SFORNARE L’ENNESIMO “NUOVO” PANINO MC DONALD’S E SPACCIARLO PER ALTA NOVELLE CUISINE ALLA PORTATA DI TUTTI I PALATI
Prendete “Balla coi lupi”, “Un uomo chiamato cavallo”, “L’ultimo Samurai”, e altre pellicole simili. Gettatele in un calderone, fatele bollire per due ore e tre quarti aggiungendovi, di tanto in tanto, spezie transgeniche senza mischiarle troppo, affinché i palati più attenti sappiano distinguerle tutte. Inoltre, aggiungete con frequente frequenza (ogni 3 secondi) 200 g. di denaro cartaceo (possibilmente carta filigrana per assegni).
Infine aggiungete un pizzico di “Matrix”. Aspettate che si freddi e servite in salsa blu.
Avatar non è un film brutto; è una storia vista e rivista.
Tutta quell’innovazione di cui si parlò quando uscì fu fuffa per pubblicizzarlo ulteriormente.
Fare un remake cumulativo di pellicole come quelle menzionate aggiungendovi dei puffi giganti ambientalisti vegetariani con la faccia da gatto birichino e feroce non rende innovativo un polpettone ibrido di cult movie del passato.
Dal punto di vista emotivo, ovvio che mi ha toccato; se stacchi il cervello, ti mescoli al film, normale che ti tocca (sappiate che succede anche con certe astute pubblicità).
E a fine visione una bella sorpresa: invece di stare in pace mi sentivo aggressivo come un serpente avvelenato.
Sì, perché Avatar si sviluppa sulla base del QUESTI BLU SONO I BUONI, I SOLDATI SONO I CATTIVI. Presto ci si rende conto che è un continuo ribadire chi è chi.
CONCLUSIONE: film carino, godibile (se non vi mettete a pensare che coi soldi che hanno speso per realizzarlo [più gli incassi] avrebbero estinto il debito pubblico del pianeta terra (non fosse che il debito pubblico è fatto in modo che sia matematicamente impossibile sanarlo [il debito pubblico lo si paga con denaro che… ci viene prestato dal debitore; possibile estinguerlo? Sì, ma solo su Canale5, nelle notizie del TG].
DEBITO DI SANGUE (titolo originale Blood Work).
Clint Eastwood è uno dei miei registi preferiti. Semplice, toccante, immediato, sa benissimo come e dove posizionare gli elementi di cui dispone nella sceneggiatura e nell’inquadratura della MDP.
Da Millon Dollar Baby (non mi è piaciuto; dovrei rivederlo), fino a “Gran Torino” (a mio avviso suo capolavoro assoluto) ci ha regalato film impeccabili, godibili, pieni di spunti riflessivi…
… a parte qualche macchia di diarrea sulle mutande del suo curriculum, come nel caso di questo “Debito di Mestruo”.
Un ora e tre quarti buttate nel cesso: chissà se il buono scoprirà chi è il cattivo e se, eventualmente, lo punirà?
Anche se non lo avete visto, sapete già come finisce…
Esatto, proprio così.
Se devo salvare qualcosa del film: finalmente ride.
Sì.
Clint ci mette tutta l’energia di cui è ancora capace. Inspira ed espira, contrae i muscoli come stesse facendo una cagata fotonica dopo una scorpacciata di limoni e banane, e ride. Penso che il maestro si stesse rendendo conto dell’abominio che stava girando/interpretando, che abbia ceduto a un ragionevole comportamento umano - per chi non lo sapesse, Clint Eastwood è soprattutto famoso perché è sempre stato disponibile in sole 2 versioni: “Con” e “Senza” sigaro; qui niente sigari.
CONCLUSIONE: vedete la scena in cui sorride poi dedicatevi ad altro.
SOUL FOOD - I SAPORI DELL’ANIMA (de tu’ sorella).
Il regista vorrebbe (nella sua fantasia) avrebbe voluto dirigere un lavoro dalle alte pretese sociologico-sentimentali ma è finito col dipingere un quadretto di neri che giocano a fare i negri che, senza rendersene conto, si sono identificati con stereotipo che il sistema ha imposto alla loro casta - i “neri” che conosco io sono persone vere, autentiche. Non sono falsi (e fottutamente “bianchi”) come questi qua; qui non esiste una donna coi capelli ricci; SONO DEI BIANCHI VENUTI MALE).
Storia di storie di una famiglia - tra lavoro, chiavate, tradimenti, rancori e violenza - che si rivela “solida e unita” solo nell’atto domenicale di sedersi a tavola e magnnnnare come porci le peggio schifezze.
Tutti litigano, tutti danno la colpa all’altro, non ride mai nessuno tranne nel finale, quando tutto sembrava perduto e invece… ARRIVANO I SOLDI.
Ma-gni-fi-co!!!
Nonostante ciò mi è piaciuto (narrazione e musiche ti fanno entrare dentro), però penso sia triste, vedersi due ore di borghesia afroamericana che si rivela una casta di esseri rincoglioniti e addormentati che vivono col solo unico scopo di apparire migliori di quel che credono di essere.
I loro antenati si ribellarono alla schiavitù… mentre questi si sono volontariamente ricoperti di catene, arrivando a vantarsene.
Film come questo sono belle passate di cera e argento per lucidare quelle catene.
Fate voi… preferisco i film di Singleton (e anche certa roba di Spike Lee).
KILLER JOE (di William Friedkin).
Che dire? Perfetto.
Sceneggiatura, Regia, interpretazioni di TUTTI gli attori.
Come Eastwood, anche William sa con estrema esattezza ciò che sta succedendo nella mente dei personaggi, nelle oscure location degradate/degradanti (per lo spettatore che ci sguazza come un tortellino giù per lo scarico fognario), e lo filma con maestria ed eleganza persino durante le scene ruvide e violente - non sono così tante come millantano certe recensioni; è che sono una mazzzzzata).
Memorabile interpretazione di Mattew McCoughney (si scriverà così?) che, per una volta, invece di fare il seduttore bellone, confezionato su misura per le solite commedie (finto) rosa a cui ci ha abituato, ci sbatte sul grugno un killer (Joe) che rimane impresso.
La scena del pompino alla coscia di pollo - e gli ultimi 10 minuti – lasciano ferita e cicatrice.
William Friedkin è sempre stato un provocatore, pensate a “L’esorcista”: mica voleva fare un semplice horror-shock tratto da un best seller di moda per guadagnare a palate; voleva ridare indietro all’America la sua stessa merda, affinché se la rimangiasse, e finisse il pasto con “Grazie, Signore grazie”.
E vi riuscì.
Come c’è nuovamente riuscito con Killer Joe.
CONCLUSIONE: Se vi piacciono i film perfetti (e ricevere coltellate negli occhi) cos’aspettate a vederlo?
CHE FINE HA FATTO BABY JANE?
Un classico.
Un classico non solo perché lo dicono i signori critici cinematografici specializzati di critica cinematografica di ‘sto cazzo.
“Classico” perché rimarrà sempre attuale - almeno fino a quando non diventeremo robot a tutti gli effetti.
A differenza di Avatar, sebbene la drammaticità delle vicende alzi il tiro minuto dopo minuto, qui non sappiamo con esattezza chi sia la vittima, chi il carnefice. Lo scopriremo solo nel sorprendente finale - grazie al quale, in futuro, durante la seconda, terza, quarta, centesima visione, avremo una chiave di lettura totalmente diversa di tutta l’opera.
Le interpretazioni delle protagoniste non sono interpretazioni.
Le due attrici diventarono i loro personaggi – (forse) ciò che interpretarono era molto vicino al loro modo di essere fuori dal set.
Grottesco, a tratti malsano e inquietantemente divertente. Anche qui scene antologiche (la Davis che prende a calci la sorella paralitica spalmata sul pavimento agonizzante e - sempre Bett Davis - canta mezza stonata muovendosi come la parodia di sé stessa, scimmiottando le coreografie di quand’era bambina prodigio).
CONCLUSIONE: imprescindibile per chi ama le opere intense.
Pappa veri gùd.
Pappabbuona tandobbuona.
HALLOWEEN III – IL SIGNORE DELLA MORTE (che in realtà s’intitola “Season of the Witch”, come l’omonimo film di George Romero, e che un cazzo ha a che fare con la saga di Carpenter - sebbene John appaia in vesti di co-produttore e co-musicatore).
Quando lo vidi la prima volta avevo 12 anni.
M’aspettavo che l’adorato Michael Myers, morto esploso carbonizzato nel II, resuscitasse ancora una volta per fare la solita carneficina.
Affittai la vhs, spinsi play.
Aspettai.
Attesi il mitico 5\4 dello score (TU-TA-TA-TU-TA-TA-TU-TA-TA-TUU) e non arrivava, come non arrivava Michael.
Ma dove cazzo siete finiti?, mi chiedevo mentre ingurgitavo hamburger e patatine fritte.
Il mio assassino mascherato preferito non arrivava, i miei testicoli (e il mio fegato) si gonfiavano di malattia.
Poi il film finì.
Rimasi deluso.
ERRATA CORRIGE: Halloween III, quello vero, quello che mi aspettavo di vedere a 12 anni, all’epoca era (ed è) inedito in Italia.
Si trova in rete sottotitolato; carino, non un granché.
Quest’altro HALLOWEEN, che si svolge ad halloween, ma che HALLOWEEN non è, scritto e diretto da Tommy Lee Wallace, si rivela un ottimo prodotto di serie B.
Molte scene ricordano “Fog” del maestro Carpenter – per la musica, per come viene posizionata la MDP nelle scene d’azione.
Il famigerato HALLOWEEN originale viene citato un paio di volte (si vedono immagini alla tv, se ne sente un brandello di colonna sonora[però niente tu ta ta tu ta ta]).
A distanza di anni, HALLOWEEN III risulta ancora valido e godibilissimo.
Lo definirei un horror-fantascientifico.
“Fantascientifico” perché a un certo punto spuntano i robot.
Per tematica (robot compresi) lo considero la dimostrazione che quelle che nel passato venivano definite “apocalittiche profezie” non sono altro che il presente che stiamo vivendo.
Come dicevo spesso: “Fantascienza” è quella parte di scienza (spesso esistente, e nascosta alle masse) che le persone comuni- in un dato periodo storico – percepiscono come “Troppo avanzate” rispetto al livello tecnologico corrente.
Ancora non sono pronte per accettare certe scoperte, concetti, o visioni che destabilizzano lo status quo, di conseguenza giudicano il tutto come esagerato, improponibile. Affibbiano l’aggettivo “FANTA”, cioè “assurdo”, a concetti fuori dal proprio range di comprensione…
Chi decide “cosa” sia “impossibile”?
CONCLUSIONE: per passare una bella serata senza pretese (…o forse sì) in compagnia di un cinema che, ahimè, non esiste più.
Un film di serie B che, paragonato alla stragrande maggioranza dei “film” di oggi, risulta un serie A+.
THIS MUST BE THE PLACE (per fortuna non si sono inventati il classico titolo [o sottotitolo] maccheronico per non spaventare lo spettatore italiano medio, come spesso succede).
Una perla unica.
Un caso di cinema italiano come non si è mai visto (perlomeno io).
Il film italiano meno italiano della storia del cinema commerciale.
C’è tutto: risate, amarezza, riflessione, ritmo, trovate visive.
Recitano persino i paesaggi.
Non so checcazzo abbia mangiato Sorrentino prima di mettersi a lavorare.
Se con “Il divo” m’aveva fatto godere, stavolta m’ha fatto eiaculare l’orgasmo.
Sean Penn si è rivelato un dio, interpretando l’antitesi/contrario-capovolta (e degenerata) dei personaggi a cui ha dato vita durante la sua carriera; cioè il duro tenebroso (eccezion’ fatta per gli episodi drama drammatico drammatici [parlo delle interpretazioni, non delle regie; Into the wild è notevole]).
Non aggiungo altro.
CONCLUSIONE: Folgorante.
Penso di aver terminato.
Vi chiedo umilmente perdono per la settimana scorsa che non ho pubblicato (ccccazzo di tragedia, eh?!).
Spero di avervi consigliato qualcosa che vi faccia godere.
Ci vediamo lunedì.
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