domenica 4 settembre 2011


È strano, fa strano.

Fa brutto.

Senti dire: "Non fa niente, che te ne frega, vai avanti, ne trovi mille migliori".

Come si fa a cancellare un sentimento?

Non si cancella, lo si riconverte.

Come si fa a convertirlo, commutandolo?

Sentimenti (che è una cosa che non si tocca) e oggetti (che è una cosa che ci basiamo l'esistenza) sono l'opposto.

Vale per pochissimi.

L'ho scoperto adesso.

Com'è possibile?

Negli ultimi tre anni – mai avuta da bambino, anzi! - ho scoperto di avere la passione per lo studio degli "alieni" perché – capisco ora - , mi affascinava il “fattore freddezza” ; creature tanto “diverse” da noi ci hanno dato vita mischiando il loro DNA di ghiaccio al DNA stupido delle scimmie.

Che fossi attirato dallo strettissimo legame tra genere umano (la creatura) e il vero Dio?

Forse è stato subire fascino di conoscere creature dalle quali abbiamo ereditato il corredo emozionale.

Come fai a spingere un tasto sapendo che porrà fine a migliaia/milioni di vite e dormire come se niente fosse?

Che esistano o meno, i rettiliani sono parte di noi.

Siamo noi.

Per provare compassione, pietà, perdono, abbiamo bisogno di studiare libri.
Dobbiamo impararle.

Forse non sono parte del corredo originale, come m'ero illuso.

Non ci pensare, volta pagina, la vita è lunga, fattene una ragione, che te ne frega, significa che era destino, è una troia, non ti merita, non era alla tua altezza, se ci stai male sei scemo.

OVVIO, NORMALE: che importa?

Niente!!!

Mi sono convinto che i sentimenti esistono.
Malessere per errata convinzione.

Piccoli malintesi come quelli che facevano guadagnare milioni di dollari a Hugh Grant. Cazzatelle “reali” quant'è reale tutto ciò che inventano nel mondo del cinema.

Una persona decide di non provare più nulla nei tuoi confronti?
Perché disperarsi: ne arriverà un altra migliore che proverà sentimenti migliori, più belli.
Fino al prossimo giro di boa dove ricomincerà tutto daccapo!!!!!!

Dato che le persone sono – a 'sto punto – come fottute automobili, perché sto a preoccuparmi più di tanto?

“Questa Macchina non mi soddisfa più”.
“Sigore, la cambi”.
“Wow, lo si può fare gratis, è fantastico”.
“I piaceri della vita, Sir”.

Ogni tanto, giusto di rado – forse è moda anche quella - qualche macchina si convince di provare emozioni e soffre.

Muore dentro.

Magari ci scrivono un libro, ci basano un film, le dedicano una canzoncina.

Il vuoto gli rimane.

Accontentati, hai pur sempre qualcosa, no?

Dopo un intenso periodo esistenziale la macchina ME ha ricominciato a scrivere.
Sapevo di aver smesso perché è il dolore a far pigiare i tasti alla velocità della luce.

Dolore non c'era, perché pigiare?

Pigio che è una meraviglia.

Settembre, tempo di vendemmia, dovrei sfruttare l'occasione per guadagnare altri soldi però ho imparato che per fare i soldi c'è un prezzo.

È come col debito pubblico.

Ho i soldi ma non ho più metà di me.
È stato il prezzo dei soldi.
Il signoraggio di me stesso.

Che ci faccio coi soldi, compro caramelle per illudermi che quello che provo è un aberrazione di sistema auto indotta, pippe mentali escogitate per intrattenermi diversamente dalla solita routine?

Non piangevo da 3 anni.
L'altro ieri è risuccesso per 3 minuti, il tempo di “All summer long”.
Non l'ho contrastato, sentivo che sarebbe stato salutare.

Viste sul piattino della bilancia le cose dette e provate appaiono più piccole, insignificanti, di come le immaginavo.
Mi sento in imbarazzo.

Che stupido, aprirsi così.

Dovevo imparare dallo specchio che avevo di fronte, offuscarmi facendo finta di essere Essenza e non donare tutto.

Dominare l'esigenza di regalare tutto me stesso.

Imparare che non esistono “persone speciali”.

Siamo persone con subitanee, precise esigenze che si creano in un dato momento, che vanno colmate in quello stesso momento.
Portarle avanti, rimandarle, colmarle nel “futuro” fa danni.

Ci lasciamo ingannare da esse, percependole come “amore” (grazie Hollywood), facendoci trasportare lungo un fiume in piena.

Che, al contrario di quello che ci inducono a pensare, non sia questa la nostra vera natura?

Soffriamo; è perché ci lasciamo dilaniare da una lama inventata che crediamo reale?

Sto scrivendo in fibrillazione.
144h di questa vita non fanno per me.

Lunedì scorso, appena ufficializzato che le mie illusioni erano tali, per difendermi ho scritto di getto:

“Immaginava il resto della vita insieme al ragazzo conosciuto per caso (nulla per caso).
Una visione rilucente tra sogni li illuminava, un quadro di particolare bellezza, impresso di emozioni senza tempo.

Loro due uniti, una casa ai piedi di una montagna, e sotto loro il mare senza orizzonti.
La brezza marina, la magia e il tepore di un tramonto incondizionato.

Era tutto perfetto.

Era solo una visione.

S'infranse a terra quando il pittore fu messo di fronte alla tragedia che per renderla reale doveva tagliare i ganci del passato, porre la pietra tombale sopra le menzogne ch'erano state dette e fatte.
Voltare l'ultima pagina di una storiella di formazione, iniziare il romanzo della vita.

Non successe.

Il peso dell'impotenza a cui aveva creduto le impediva d'alzarsi dal letto, prendere in mano la vita per la prima volta - da che era stata messa al mondo Altre tenevano serrate le redini, l'assoluto potere decisionale delle sue azioni, del pensiero.

Il quadro rimase quadro, per sempre congelato nella mente, per essere accantonato lontano, insieme agli altri ricordi senza significato.

Forse qualche richiamo nel futuro, per riflesso – la mente cerca il male; se fallisce lo crea e lo ripropone – , niente più.

Un dipinto maturato per anni, arricchito da dettagli nitidi, gettato in discarica per paura della paura.

Il panico del panico.

Una realtà barattata con un illusione senza direzioni.

Così, un altra vita prese il corso a senso unico di tutte le altre.

E la Storia fu condannata a riproporsi ancora una volta.

Non era niente di speciale; un blues di accordi interessanti che lo facevano sembrare una ballad immortale.


La parte del “quadro” non è robetta da bassa narrativa, corrisponde a “verità”; un quadro che la mia vecchia metà dipinse anni fa col potere della mente, talmente bene da riuscire a farmelo vedere.

In quadro in cui ho sempre creduto.

E che porco dio ci credo ancora.

Quando ho scritto il pezzo ero pilotato dalla Rabbia, pur sapendo che non corrispondeva alla verità che mi si è formata dentro quest'ultimo mese di “lezioni spirituali”, in cui sono diventato a tutti gli effetti una persona diversa (comunque ci stavo lavorando da parecchio).

L'altra sera sono uscito con quelle del lavoro.
Ho cantato al karaoke.

Mai cantato in pubblico col microfono, tanto meno in un bar per scapoli di mezza età che fa pagare una Cères 5€ (lo giustificano buttando dentro un piattino una manciata di patatine, arachidi e lupini bianchi come il puntino secco d'un brufolo).

Mi ha aiutato a sentirmi meglio.
144h di 'sta vita le riconduco al respiro spezzato, per via del vuoto che sento tra il centro della gola fino al petto.

Che cantando l'abbia “rimesso apposto”?

Il locale in questione fu lo scenario di un racconto scritto anni fa, all'inizio della nostra storia, quando tutto scorreva liscio, quando scrivevo per il piacere di leggerlo alla mia veccia metà.

È strano pure questo.

È tutto strano.

Sarà che il fuoriposto sono io?

Importa?

Che importa?

Ero solo e non ci facevo caso.

Mai stato incosciente.
Immaturo sì ma l'incoscienza è altro.
Quando sento che una cosa è possibile è così.

Sento che tutto i sogni sono ancora realizzabili.

Tutto è possibile.

Basta volerlo.




1 commento:

Anonimo ha detto...

Tutto finisce, e tutto ricomincia.
Non è quello che accade che è realmente importante, ma se lo osserviamo accadere.

Questa rottura dispiace, avviene e pare netta, irrevocabile.
In realtà le rotture avvengon di continuo, che lo vogliamo o meno.

E' la mente che vede un'unico filo laddove invece esso non c'è.

Morti e ri(nascite) avvengon di continuo, dobbiamo solo saperle scorgere.
C'è una parte in noi che non vuol vedere.
Produce elabora schemi che "valgon per sempre".
Così poi non deve più continuare ad osservare. A vedere.

Lo schema basta, è gratificante.
Ma la realtà, per sua definizione è sempre al di fuori.

Lo schema, il quadro può esser rifinito nei minimi dettagli, ma è solo...
un quadro.

Le vere pennellate, i veri colori sono fuori.
In mezzo a noi.
In ogni istante.

Basta solo osservare in ogni momento.

Anche le cose "brutte".

Un caro saluto da uno sconosciuto trovatosi a passare di qui.

Con simpatia...

A.