lunedì 24 settembre 2012

TARQUINIO vs. DARWIN

Avevano pensato fosse bene prima scavare nel sapere, riordinarlo poi passare avanti. Così era stato fatto. Il risultato era stato devastante. Non c’era nessun avanti, tra sgomento e sorpresa di una mente saturata alla vigilia delle vacanze.

Tarquinio poggiò le chiappe fasciate di lino sul sedile in pelle della multipla, diretto in banca per una sbirciata all’estratto conto.

330€.
Bastavano.

La notte prima aveva visto bene nei suoi incubi. A stento riusciva a parlare, sovrastato da una vegetazione di peluria che si estendeva dal collo alle piante dei piedi. Terrorizzato, si stava guardando nello specchio. Nel sogno vedeva riflesso l’immagine di sé, sovrastato da protezioni pilifere. Da cosa doveva proteggersi? E che differenza faceva, se era in un sogno o nella realtà? Lo specchio si limitava a riproporre ciò che vedeva, restituendolo al coraggioso spettatore.

La voce alla radio raccontava di un famoso darwinista che, presente in studio, prese la parola. Era un inamovibile osso di titanio definito, coi suoi pungenti interventi era riuscito a inimicarsi la maggior parte dei colleghi, paladini della scienza moderna.

Altezzoso, sprezzante, condannava le istituzioni religiose sostenendo che quel modo antiquato, strumentalizzante, di vedere segnato il destino dell’uomo era una vecchia favola ripetuta come una melliflua ninna nanna alle masse dormienti per tenerle sospese in un sogno a occhi aperti che tanto faceva comodo all’Elite al potere.

Tarquinio non aveva neanche bisogno di prestarvi attenzione, avendo già identificato la radice di quel malessere professionale. Proiezione: l’uomo di scienza condannava una struttura di pensiero strutturalmente identica alla sua. Di fronte all’altezzosità delle istituzioni religiose s’alterava indignato, quando egli stesso si comportava alla medesima maniera e, per tanto di cose, all’orecchio dell’attento ascoltatore risultava un ninnanannatore altrettanto mellifluo, altezzoso, saccente e fastidioso.


Stava lottando contro uno specchio.
Lo specchio.



La Coop era affollata di acquirenti scontrosi.

Una volta erano stati esigenti, mansueti compratori di merci. Adesso erano cambiati. La scintilla che ve li spingeva era l’opaco ricordo di meccaniche abitudini passate. Un ritrovo come un altro, un perimetro ingombrato di mattoni e compensato adibito a indirette relazioni con le altre persone, con immancabile acquisto di beni di consumo come fine ultimo.


Consumati dal consumo.

Durante gli ultimi 2 mesi la vecchia signora Manni era peggiorata. Aveva dato eccessivo credito alla diagnosi del dottor Settimio Orlanzi - primario dell’ospedale di Rovereto - e il corpo aveva seguito il percorso tracciato dalla mente stanca, ottenebrata da calmanti, cortisone, antidolorifici. Per attraversare la strada impiegava due giri di semaforo.

Tarquinio non provava rabbia, ne pena.

Sarebbe stato ipocrita, sapeva bene che ognuno è il solo artefice del proprio destino; il medico poteva dirle ciò che voleva, era stata la signora Manni ad accettarlo per irreversibile verità. La mente, le gambe, la schiena avevano fatto il resto. Avevano eseguito i comandi con mirabile maestria.

Suo marito aveva seguito un copione identico, finendo seppellito tra gli sbadigli dei “suoi cari” esattamente un anno primo, in quello stesso giorno.


Incredibile di cosa fosse capace la mente umana. Aveva escogitato astuti inganni per convincere l’uomo della sua fragilità.

E tutti gli avevano creduto, persino lo scienziato della radio, coi suoi bei discorsi sulla legge del più forte.

Presto sarebbe stato tutto ciò che già era; solo un brutto sogno.


“Non è tanto. Basterà”.
“Ho preparato le valige. I bambini sono vestiti”.
“Partiamo subito”.

Alle 12:04 di lunedì 24 settembre 2011 la famiglia Sementi saliva sulla multipla, composta e indolente, per correre incontro al proprio destino. Tarquinio sapeva bene. Ne aveva discusso con Alessia, che aveva altrettanto capito. I bambini, non abbastanza grandi da essersi persi nella trappola del linguaggio codificato, avrebbero seguito i genitori nell’ultimo viaggio.

Ironico che fosse anche il primo.


Nell’abitacolo ondeggiava un silenzio mentale, tacevano tutti e 4. La voce del darwinista rimbombava autoritaria, definitiva, come la predica di un prete luterano tedesco.

“Pensa di avere l’esclusività sulla ragione”.
“L’università ha questo scopo: convincerti che esiste una sola verità, quella del tuo corso”.
“Viaggiamo sullo stesso binario”.
“Noi, almeno, siamo discreti, mica rompiamo le palle a migliaia di ascoltatori”.
“Non eravamo forse noi, padroni del nostro destino? Se un essere è dotato di tanto potere, compreso negli optional avrà l’energia per azionare l’indice, puntarlo verso il tasto tuning dell’autoradio e porre fine a questa tortura”.
“Scherzi? Mi interessa. Sai che faccio? Adesso gli telefono”.
“Sei davvero disposto a un match di squash contro il muro? Nessuno ha mai vinto contro il muro”.
“Non si tratta di vincere o perdere. Ho voglia di divertirmi”.
“Fa’ come credi. Sei padrone delle tue stronzate”.
“Avevamo detto niente parolacce davanti ai bambini”.
“Prendi per il culo? I nostri bei discorsi saranno solo un curioso, lontano oiaheroaihraoh nelle loro testoline”.
“Hai ragione. Fanculo”.
“Stronzo”.
“Scrofa”.
“Impotente”.
“Frigida”.
“Mamma”.

Il veicolo frenò, in concomitanza col semaforo rosso. I coniugi Sementi si guardarono sbalorditi. Nicolas aveva detto la sua prima parola.

Ormai era spacciato.

C’era tutto il tempo per soffrire, esattamente due giri di semaforo; la signora Manni doveva aver dimenticato qualcosa al supermercato. Insieme al raziocinio.

“Dietrofront?”.
“Tanto non ero convinta. E neanche tu”.
“Scherzi? Questa era la volta buona”.
“Come le altre 3”.
“Il 3 ha un valore esoterico importante”.
“Mi sa che dovresti fare 4 chiacchiere col darwinista alla radio”.
“Mi sa pure a me”.

Mentre la signora Manzi s’accasciava al centro dell’incrocio, spargendo arance e barattoli ovunque, la multipla coi Sementi a bordo faceva inversione di marcia, e le dita di Tarquinio componevano un numero di telefono stronzo.

“Pronto? Salve. Seguo i suoi studi da molti anni con grande divertimento. Tra le letture di gabinetto, insieme ad “Ava Lavatrice” e il manuale del Nokia rimarrà sempre un evergreen. Volevo farle una domanda che probabilmente mai avrà sfiorato la sua immaginazione neanche per scherzo: è davvero è convinto che una scimmia possa definirsi evoluta dopo quello che abbiamo creato? Se la bomba atomica, il debito pubblico e i calla center sono i traguardi di una mente evoluta, allora posso definirmi orgoglioso discendente di Paperino”.

E riattaccò immediatamente sghignazzando.

“Adesso ti senti meglio?”.
“Sì. Decisamente. Penso che non penserò al suicidio per almeno due settimane”.
“Che ne dici di farci una vacanza vacanza vacanza?”.
“Tu e il tuo bisogno di vacare. Non ti senti a tuo agio nel tuo piccolo mondo antico fatto di sapori e fornelli?”.
“Citarmi una [battuta] di Abatantuono ti rende…”.
“Involuto?”.
“Esatto”.
“Visto che il muro si può battere anche a squash?”.
“Prima o poi riuscirò a convincerti ad entrare in analisi”.
“Quando batti il muro a squash è perché quel muro non è abbastanza bravo”.
“Ecco perché ti ho sposato: avevo bisogno di un matrimonio pieno di solitudine”.
“È un matrimonio come tutti gli altri. Noi almeno ci diciamo le cose in faccia”.
“Freeeenaaaaaa”.

Dopo quel semaforo rosso ignorato, il mondo aveva un darwinista in meno.

E molto più tempo per riflettere.

Che significato potrebbe avere questa storia?
E chi ha stabilito che debba per forza esserci "significato" dietro ogni cosa?
E' solo un altra perversione della mente umana.
Guarda la tua vita; ha veramente significato?
Appunto.

Alla settimana prossima.
Vi amo tutti

lunedì 17 settembre 2012

TRA DIETROLOGIA E PAURA DI SE' STESSI

Tra due settimane inizierò a frequentare un corso di scrittura creativa a Milano. Mi sono deciso. Era ora.


Grazie Elena.

Un ariete, ascendente scorpione col sole in 6a casa (casa della vergine) non riesce a navigare nell’ignoto. Per farsi un bel giro ha bisogno di coordinate, di un tracciato, una mappa da seguire. Non importa quanto sia chiara, dettagliata.

Posso dipingere un quadro come, quanto cazzo mi pare, ma necessito di una cornice che delimiti l’opera – senza andarne a porre limiti; un quadro multi-D.

Detto questo, chi ha visto “Il discorso del Re?”.
Ieri sera mi sono divertito.
Ben fatto.

Originale l’approccio usato dal terapeuta, anche se fantascientifico; coi rigidi schemi dell’epoca non penso fosse possibile lavorare con un paziente in quel modo.

Troppo umano.

La psichiatria è un industria basata sul creare e concretizzare problemi, nei quali poi l’uomo moderno – grazie agli “esperti del settore” – si identificherà, si crederà opportunamente malato e si curerà, cioè andrà volontariamente a sezionarsi il cervello ingurgitando galassie di simpatici farmaci lobotomizzanti, andando a finanziare la benevola Big Pharma.

Pessimistico?

Impasticcato!

Dietrologista?

Vintage!

Sto leggendo “Giallo Pasolini”. Non riesco a capire perché persone intelligenti, colte, qualificate, hanno paura di “scovare scoop pescando nella dietrologia”.

Per dietrologia intendono “complotti”, “cospirazioni” ecc.

Chi mi ha seguito in passato sa bene che per un buon annetto – facciamo due - anch’io mi sono sparato la mia bella dose di David Icke, Massoneria, alieni, Illuminati (quelli stronzi, mica i risvegliati), quanto è racchiuso nel vasto campo semantico del Nuovo Ordine Mondiale.

Brrr, riscrivere quel nome da i brividi.


Ciò che non mi va giù è perché molti giornalisti d’inchiesta – la maggior parte – temono di essere bollati come paranoici, fanatici della cospirazione, quando analizzano fatti di cronaca seguendo percorsi alternativi discostandosi dalle varie “versioni ufficiali”, confezionate ad arte dal Sistema, per spiegare certi avvenimenti.



Ps. (anche se “pre” più che “post”; è ancora presto): se soffrite di stitichezza vi consiglio di mangiare pizza fatta in casa da voi stessi, soprattutto se non l’avete mai fatta.

Altro che imodium.

Sono alla 6° tappa al cesso.


Le “versioni ufficiali” di omicidi, attentati terroristici, stragi, scandali politici (o d’altro genere) sono sempre costellati di macro buchi, fanno acqua come uno scolapasta preso di mira dal solista del mitra.

Se uno ha un po’ di cervello, possiede discrete capacità logico-analitiche E SA USARLE SENZA TIMORI si renderà presto conto che ci raccontano un mare di cazzate, senza neanche prendersi la briga di renderle credibili – almeno per un bambino di 6 anni.


Le versioni “dietro” – non molto spesso; è pieno di spazzatura (tutta politicizzata, sia di DX o SX) – sono plausibili, dettagliate, esaurienti, coerenti. Logiche.


Vengono fatti collegamenti tra organizzazioni, fatti, persone apparentemente lontane tra loro. Vengono sviscerate “questioni di poco interesse” , episodi “sconosciuti” relativi al caso in esame di fondamentale importanza che i giornalisti mainstream ignorano.


Perché viviamo nella paura del giudizio degli altri?


Mi faccio tenerezza da solo quando ripenso sadicamente ai miei sedici anni: - A me non me ne frega un cazzo di quello che gli altri pensano di me.

Tolti tutti quei “me” autoreferenziali, rimane una canzoncina intrigante che in tanti abbiamo intonato senza però farci i conti. Senza guardare in faccia la realtà.


Perché siamo schiavi di come ci vedono “gli altri”.

Pensate un po’ che controsenso: le persone com’ero io, come sono ancora molti di voi, duri e puri dal cuore anarchico, ai quali non frega un cazzo di cosa pensano gli altri, guarda caso, siete anche le persone che “a me gli altri stanno sulle palle”.

Se uno mi sta sui coglioni, prima cosa non mi interessa cosa pensa di me, seconda cosa ben venga se pensa male di me; il fatto che la mia esistenza possa nuocere alla salute di uno che reputo stronzo mi fomenta, m’incita a esistere sempre peggio, soprattutto nei suoi confronti.

No, scherzo.

Ma anche no.


Perché ho fatto questo discorso?

Perché anch’io mi sono rotto le palle di vivere nella paura degli altri, nel terrore di sentirmi sbagliato (anche agli occhi di me stesso).

Iscrivermi al corso di scrittura, forse, sarà una strategia per autorizzarmi a non avere più paura.

Ad affinare il mio talento.

E a vivermi la vita serenamente.

Voi che dite?

Tanto non me ne frega un cazzo di cosa pensate voi.


Scrivo un blog pubblico… eppure non me ne frega un cazzo di cosa pensano gli altri.

Ho inserito l’opzione “commenti” per sapere cosa gli altri pensano del mio lavoro.

Anche se non me ne frega un cazzo.

Coerente la vita, eh?

Che ve lo domando a fare… tanto sapete.

Anzi, no.

Non sapete.

Gli altri non sanno e non capiscono un cazzo.

Gli altri scrivono libri interessanti.

E a me non frega un cazzo.

Plausibile.

Perfetto.

Vai con dio.

Andate con dio.

E saccheggiatelo; le risorse non gli mancano di certo.

martedì 11 settembre 2012

ONE OWN ORDER

Parcheggiare a Borghetto 3 costa 1€, sarà perché è considerata località di culto.

Escludo la forte matrice templare, lo storico passaggio – e alloggio – di Napoleone III°.

Penso sia dovuto al fatto che un influente, carismatica personalità come Ivana Spagna sia nata e tempratasi proprio qui.

Il parchimetro obbliga il parcheggiante a sostenere una simbolica spesa minima maggiore alle canoniche incontrate nei vari paesini italiani, di conseguenza lo obbliga\invoglia\persuade a sostare in tal’ posto almeno 1h (per 1€).

Ho tentato ad inserire 20, 30 centesimi.

Inappuntabile, il piccolo display rimaneva statico, cristallizzato nella sua (im)personale decisione.

La cifra era la medesima (pari a 1€).


Invece di arrabbiarmi, sentendomi obbligato a scegliere entro 1 limitante recinto di opzioni, ho preferito considerare ciò come 1 opportunità.

1€ che invece di dar luogo a 1 incazzatura m’avrebbe permesso di fare 1 esperienza diversa, fare 1 visita in 1 bel posto, terra natia di 1 famosa personalità (che 1 volta ho conosciuto [1 particolare esperienza], e in 1 vecchio post ho descritto; fu un bel concerto, all’1animità).


Ho girato i negozi di Borghetto 1 a 1, e in ogn1 ho potuto sperimentare 1 condizione diversa (stupore, felicità, perplessità – talvolta 1nivoca).

A 1 certo punto mi sono trovato in 1 prato che costeggia 1 fiume (il Mincio).

Mi sono seduto, ho respirato profondamente, ho iniziato a lasciar andare le emozioni bloccate al centro della pancia.

Mi sono sentito 1 con l’ambiente, con la natura.

Durante quest’esperienza di 1nità col Tutto, sono arrivato alla conclusione che se 1 persona “comune” se si connette all’1, si rende conto di non essere mai stato 1 qualunque.

Perché siamo tutt’1, noi esseri umani.

1 con le piante, coi pianeti, con ogni cosa che ci circonda.


1.

Agli scettici verrebbe da pensare: perché siamo tutt’1 e non – ad esempio – 1 tutt’al +?

Classica provocazione di qualc1 che nel profondo si sente 1 qualunque ma che, pubblicamente, cerca di sembrare 1 essere speciale, superiore.

1 stronzo.

Comunque sono divagazione di adesso, che mi sono fermato 1 minuto a scriverne.

A 1 certo punto non m’interessavano più i pensieri – che stavo scansionando, 1 alla volta.

Ero colmo.

Pregno.

Pieno…

… sebbene, dopo 1 ventina di minuti mi sono rotto i coglioni.

Ho ripercorso la strada a ritroso, non c’era ness1 con cui parlare – 1 attimo che mi sono girato non c’era più neanche 1 anima.

Ho fatto 1 capatina in 1 chiesa costruita prima d’1 ponte di legno – protetto dalla statua di 1 santo di cui non ricordo il nome - che collega la parte naturale con la parte commerciale di Borghetto.

Ho letto 1 incisione lasciata su 1 pietra da non so chi, in onore di Napoleone III (1 personaggio molto presente nella storia di Borghetto\Valeggio sul Mincio).

Sono tornato alla macchina, pensando che per 1€ è stata 1 esperienza 1nica (direi quasi 1iversale).

Comunque 1 inculata.

Perché, alla fin fine, per natura economica (ho un pessimo rapporto col denaro) mi sono sentito costretto a fare 1 esperienza che già, almeno 1 volta, avevo sperimentato, e che avrei potuto risparmiarmi*

*questo è l’Ego a parlare, lui, il sapientone, che sembra sia uscito fresco fresco dall’1iversità e già si sento pronto per insegnare al mondo.

1 mondo che si percepisce separato – e che nonostante ciò sta diventando 1 stato fascista globale.

Perso in 1 miriade di considerazioni ho provato a cercare consolazione in 1 rivista pescata da 1 cestino metallico - sembrava 1 di quei settimanali che trovi in omaggio agli angoli delle strade.

Era 1 catalogo di abbigliamento.

Neanche 1 didascalia.

C’erano 1 pugno di modelli – belle donne, idioti maschi - che indossavano 1 miriade di vestiti.

Non mi sono fatto nemmeno 1 risata.

E mi ci stupisco pure, come se non avessi letto ‘sti cataloghi del cazzo manco 1 volta.

1 cosa è certa: ogn1 è padrone del proprio destino.

Ogni giorno ti trovi di fronte varie strade; a conti fatti ne devi sempre imboccare 1.

1 volta che sei partito mai tornare indietro neanche per prendere la rincorsa.

1 volta o l’altra devo agire senza pensare.

Non lo faccio spontaneamente perché 1, 1 volta che c’ho provato sono scivolato s’1 macchia d’1to, rompendomi 1 braccio (il sinistro, quello con cui scrivo).

‘na crema.

1 amore!



lunedì 3 settembre 2012

IL SISTEMA PUBICO GIURIDICO: OVVEROSIA GIUDICE, GIUDICHI 'STO CAZZO, E IL MARTELLO LO SBATTA QUI SULLE PALLE

FRASE IRONICA E RIVELATORIA: LA GIUSTIZIA VIENE AMMINISTRATA "IN NOME" DEL POPOLO, CHE SIGNIFICA  "IN ONORE", COME FOSSE UN TRIBUTO.
IL PROBLEMA E' CHE LA GIUSTIZIA ANDREBBE AMMINISTRATA PER IL POPOLO. PERCHE' L'ONORE CE LO SBATTIAMO AL CAZZO, E' UNA STRONZATA INVENTATA DAI POTENTI PER FAR MORIRE I PLEBEI GRATIS: "VAI IN GUERRA E MUORI CON ONORE, CHE IO, ALTRETTANTO ONOREVOLMENTE ME NE STO A CASA A CONTARE I SOLDI".


 Divertente transfert con malditesta incorporato.

Mi sveglio inquieto, incontrare Giuseppe che mi dice che quel figlio di una gran troia da 1500 è salito a 3000€. 

Vuole da noi tutti quei soldi, figlio di una gran troia lebbrosa.

Apprendere questa notizia mi ha spodestato.

Anni fa - 6, dioporco - ci fu una pseudo rissa tra me, giuseppe e una testa di cazzo certificata.

Il giustiziere della notte dei miei coglioni venne al nostro tavolo baldanzoso. Gli chiesi, dapprima rilassato, poi seccato - non c'è cosa più snervante che comunicare con qualcuno che non conosce la tua lingua: "Cosa c'è, cosa c'è, cosa abbiamo fatto, perché tutto questo?". 

Il troglodita continuava a rompere i coglioni, a dire che "Abbiamo alzato la voce", classica frase da analfabeta terrone che non sa parlare ma vuole accusare qualcuno, un po' come quando sentiamo dire "Quello mi ha detto le parole"; pezzo di merda, checcazzo doveva dirti? Il porco del tuo dio ci ha impostati per comunicare con le parole; cosa avrebbe dovuto dirti, dei grafemi?

Fui scaraventato a terra, sbattendo la schiena. 
Giuseppe prese una carrellata di pugni in faccia e sul collo. Stufo del trattamento - il coglione non si fermava, continuava furioso in preda a una furia aliena, come stesse picchiando la carcassa putrefatta di quel porco del padre - Giuseppe prese un piatto e lo spaccò in testa al pezzo di merda che probabilmente si stava gasando nella sua veste di punitore.

Pagammo la cena, ce ne andammo doloranti nella notte.
Era finita.

O meglio, sarebbe finita lì se qualche altro figlio di puttana non si fosse intromesso prendendoci la targa.

Fummo denunciati!!!
Dopo sei anni quella storia va avanti.

Quest'anno mi sono deciso: non voglio più avere quella storia che mi gira nella testa, non voglio più avere a che fare col sistema italiano. Diamo i soldi a quel povero testa di cazzo (come minimo una parte di quei soldi li userà la figlia per comprarcisi della roba tagliata male, andrà in overdose, e il resto della somma verrà speso per il funerale).

Mi vesto, vado al bar a prendere un caffe, la testa zeppa di tag inquietanti come "avvocato", "pagare", "soldi", "causa", "analfabeta figliodiputtana schifoso" et simili.

Mi sta bollendo la testa mentre il caffè mi riscalda le budella, quando decido che è giunto il momento di farla finita, pensare 'ste cazzate non serve a niente, solo stare peggio senza motivo.

Nel momento in cui decido fermamente "BASTA", sento un potente schiocco, rumore di tazzine che si infrangono sul pavimento, un pugno che distrugge un tavolino.

"Porcoddio, basta coi carabiniere, basta con gli avvocati, eh, porcamadonna, mi hai rotto i coglioni, porcoddio, mi ha ROTTO I COGLIONI".

Un tizio infuriato sta demolendo i tavolini a suon di bestemmie.

"La devi smettere porcamadonna, devi stare zitta, di fronte alla gente, io, io, porcoddio adesso bbbbashta, che vuuuoi da me, voi non mi conoscete, porcoddio, voi ancora non mi conoscete" (e che dobbiamo fare per conoscerlo, aspettare che esca il cofanetto con la seconda stagione de "the great italian table destroyer"?).

La fuffa va avanti per cinque intensi, goliardici minuti durante i quali l'esasperato protagonista naviga in un mare d'idiozia, continuando a tornare ai 2 punti chiave della questione, ovverosia 1) gli sono stati danneggiati i testicoli 
2) è stufo della kafkiana burocrazia alla quale deve sottoporsi ogniqualvolta la sua compagna (che è una di quelle entità nemiche che ce l'hanno a morte col suo basso coccige) ha qualcosa da ridire sulla sua condotta esistenziale.

E' stato come se le mie convinzioni del momento, i miei pensieri, l' "Egregor" al quale la mia mente si era collegata si fosse trasferito nella mente dell'uomo.

Ho creato proprio un bello scenario per iniziare la giornata.

Se non altro, ora sono qui a scrivere, a riportare la testimonianza di questo palese caso di "Transfert di pendolo".

I pendoli sono... leggete "Reality Transurfing". 
Ci sta tutta.

La penso come Vadim Zeland.

Speriamo che il tizio non scopra che gli ho ceduto il mio pendolo distruttivo sennò mi denuncerà... anche se pure lui ha qualche problemino riguardo giudici, avvocati e burocrazia rompicoglioni.

Comunque una cosa è certa: già di per sè il concetto di "Sistema giuridico" è una pagliacciata che solo un pugno di massoni idioti poteva inventare (e solo una massa di pecore rincoglionite come noi poteva accettare).

Sapete cos'è la "giustizia" secondo il nostro inculcato sistema di pensiero?


Ci sono due o più persone che si accusano a vicenda per le più svariate cazzate che solo una mente involuta possa concepire. 

Tutte e due le parti credono (si sono auto convinte) che la controparte gli abbia fatto un torto.

Vanno dai carabinieri, esseri mai capaci di scrivere correttamente ciò che gli viene detto dai lamentosi stronzi , e sporgono una "denuncia".

Quando la pratica con scritta tutta la fuffia capita in mano allo stronzo di dovere, parte la "causa". 

Curioso l'utilizzo di questo sostantivo; "causa"; è proprio la causa del male.

Piccola digressione.

Quella sera, in quel fottuto ristorante, tutti e noi tre abbiamo ricevuto la nostra buona dose di legnate.
Poteva finire lì, invece dopo sei anni siamo ancora qui a rimuginare su quella stronzata.
Sia io, che il mio amico, che l'altro figliodiputtana stiamo male, non stiamo assolutamente in pace riguardo questo accadimento del passato. 

La CAUSA del nostro malessere è proprio la CAUSA. 

Visto come ci inculano dicendocelo in faccia? 

IO TI STO INCULANDO E TU NON TE NE ACCORGI, POVERO SCEMO.

Questo è il nostro sistema.

Si va in tribunale, un posto acchittato come l'interno di una barca; si ha la sensazione di entrare a bordo di una nave: per "accedere" alla zona dove ci sono la sedia del giudice, il banco dei testimoni, c'è sempre una simbolica recinzione in legno che va attraversata aprendo una porticina, il che non è casuale.

Contrariamente a ciò che si pensa la nostra vita è soggetta alle leggi della marina mercantile; per il Sistema ognuno di noi è una s.p.a. dalla nascita.
Se non ci credete fatevi un paio di domande su com'è scritto il vostro nume sulle lettere che vi arrivano dalla Banca, dalla posta, oppure controllate su google come funziona 'sta storia della marina mercantile; sarete ancora più felici di vivere in questo paese. 

Il giudice sente i poveri stronzi lamentarsi.
Sente anche gli "amici" che sostengono la tesi di uno dei due stronzi (che chiameremo "testimoni", proprio come quelli del Geova).

Il giudice lascia passare un po' di tempo, crea suspense, permette a sè stesso e al sistema di guadagnare quanti più soldi possibili poi, di punto in bianco, esce col verdetto, cioè stabilisce ufficialmente chi dei due è lo stronzo che ha torto e chi ha ragione.

Cos'hanno in comune TUTTE LE CAUSE GIURIDICHE?
Il finale.
Ogni causa finisce con uno che paga e l'altro che intasca.

Potete aver ucciso un uomo, toccato un culo, rubato un chewin gum: tutte le cause hanno come unico scopo far sborsare denaro a qualcuno.

Il metro di misura della giustizia è il denaro.

Viviamo in questo mondo.
Cos'è giusto?
Ciò che viene pagato.

Wow.
Bellissimo, proprio un mondo creato a immagine e somiglianza di dio.

Per gli esseri umani, "Giustizia" significa "quanto sei pronto a sborsare per dimostrare al mondo che hai ragione".

... ed esiste persino gente che ha paura della fine del mondo...

Mi fermo qui, tanto quello che ho detto lo sapete già.
Volevo solo sfogarmi un attimo e raccontare l'infausto transfert.

Ci vediamo la settimana prossima